Moroni
Quando si parla di pendolari spesso ci si dimentica delle piccole stazioni. Luoghi nevralgici per gli spostamenti. Purtroppo nel corso degli anni sono state dimenticate se non abbandonate del tutto. La figura del capostazione è quasi del tutto sparita: con le nuove tecnologie è possibile controllare la circolazione dei treni da un luogo remoto. Prendiamo per esempio la fermata del mio paese (Arcisate). Prima dei lavori di adeguamento si presentava pulita, ordinata, con un giardino e una fontanella. Oggi invece è un’anonima fermata con banchine e tanto cemento intorno. La notizia di pochi giorni fa è che la fermata o meglio la sala d’attesa chiuderà alle 19.30 perché, da quando, nel 2018, è stata istituita la nuova fermata, la stazione è stata presa subito di mira dai vandali. Dentro la sala d’attesa si trovano le obliteratrici e l’emettitrice automatica di biglietti. Purtroppo a farne le spese sono i pendolari. Mi spiace che invece di cercare soluzioni ai problemi si decida di chiudere in orari in cui l’utenza è alta e con l’ultimo treno che si ferma a mezzanotte e 10 minuti.
Nicolò Miani
Arcisate (Varese)
Stazioni abbandonate o "impresenziate" (come si dice nel linguaggio tecnico). Vandali impunemente scatenati e pendolari ancora una volta penalizzati. Un rimedio? Non lo vediamo. Allora cerchiamo, caro lettore, un momentaneo conforto nella poesia. Due grandi poeti, Mario Luzi e Salvatore Quasimodo, erano figli di capistazione. "Al padre" è una poesia di Quasimodo: "Il tuo berretto di sole andava su e giù nel poco spazio che sempre ti hanno dato ... Quel rosso del tuo capo era una mitria, una corona con le ali d’aquila".
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