Presa la banda di auto riciclate Nove in carcere, i furti a Milano

Mariano Comense, le indagini della Polstrada hanno individuato i capannoni dove venivano smontate

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di Paola Pioppi

Le auto venivano rubate a Milano, con una tale frequenza da generare un picco che non è passato inosservato. Ma poi, puntualmente, transitavano sotto i sistemi di lettura targhe del territorio di Cantù, seguendo sempre lo stesso tragitto verso Mariano Comense. Le indagini condotte dalla Polizia Stradale di Como e Milano, coordinate dal sostituto procuratore di Como Massimo Astori, hanno seguito esattamente questo percorso, arrivando al capannone in cui venivano smontate. Ma soprattutto, hanno ricostruito un’associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio dei veicoli rubati, che ieri ha portato in carcere nove persone: i fratelli Enrico e Giovanni Morellini, rispettivamente 56 anni di Cantù e 64 anni di Capiago Intimiano, Roberto Gioffreda, 53 anni di Cabiate, Vincenzo Amoruso, 42 anni di Sesto San Giovanni, domiciliato a Limbiate, Mohammed Hachimi, 41 anni residente a Monza, Elsayed Ibrahim, 33 anni di Milano, Mohammed Tabit, 43 anni residente a Inverigo, Youssef Ezziyani, 30 anni e Abdelhakim Markoni, 34anni, entrambi residenti a Milano. Enrico Morellini, assieme ad Amoruso e a un soggetto non coinvolto in questa indagine - Brahim Lahmami, 22 anni, carrozziere di Parabiago – erano già stati arrestati in flagranza di reato a inizio maggio dai carabinieri di Mariano Comense, per fatti identici: avevano seguito il furto di un’auto, arrivando fino al capannone di via Carducci, dove i primi due erano stati sorpresi a smontarla. Ma nel frattempo, in pochi mesi, lo scorso anno, le indagini della Polizia Stradale avevano ricostruito il riciclaggio di 81 auto, individuando i precisi ruoli di chi gestiva questo sistema, ricevendo in modo continuativo, e smembrando, auto rubate, stoccandone i pezzi di ricambio e demolendo le parti inservibili.

I fratelli Morellini, assieme ad Amoruso, avrebbero messo a disposizione il terreno e il capannone in cui confluivano i mezzi rubati, Gioffreda si ritiene che abbia messo a disposizione alcuni mezzi per il trasporto dei pezzi, e due luoghi di smistamento: ad Albiate e a Verano Brianza. Hachimi è invece il titolare di un’officina di Desio in cui avveniva una parte del riciclaggio, grazie all’attrezzatura meccanica di cui disponeva. Ruoli per i quali il gip di Como Carlo Cecchetti, che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, li indica come "promotori e vertici dell’associazione criminale". Gli altri indagati, vengono invece ritenuti "stabili esecutori e manovalanza, che hanno fatto da staffetta per accompagnare le auto rubate fino al cancello del capannone dei Morellini, contribuito all’attività di smontaggio dei veicoli, o al trasporto e stoccaggio dei pezzi di ricambio".