L’ex operaia dai conti a sei zeri rischia una condanna a cinque anni

Bergamo, gli avvocati: va assolta, non sapeva dei reati del marito

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Alla fine della sua requisitoria, il pm Carmen Santoro ha chiesto per l’imputata Carmen Testa la condanna a 5 anni. L’ex operaia dai conti a sei zeri è a processo per falsità ideologica e riciclaggio. Una vicenda in cui un tentato riciclaggio si intreccia a una voluntary disclosure, la collaborazione volontaria, una sorta di pace con il Fisco attraverso il rimpatrio di somme e beni dall’estero. Oltre alla condanna, chiesto il sequestro dei beni, che ammonterebbero a circa 14 milioni (una villa con piscina, appartamenti ad Arcene e quote societarie e soldi in una banca di Lugano). Processo davanti al tribunale collegiale (presidente Stefano Storto, a latere Guadagnino e Ruggeri). L’imputata è stata sentita nella scorsa udienza. I suoi avvocati, Gabriele Casartelli e Matteo Bandello di Milano, nel chiedere l’assoluzione hanno ribadito che "non può infatti ipotizzarsi il riciclaggio mediante l’adesione alla procedura di voluntary disclosure, poiché questo reato punisce chi ostacola l’identificazione della provenienza delittuosa di capitali, mentre la voluntary è finalizzata a raggiungere l’obiettivo opposto, vale a dire fare emergere capitali fino ad allora sconosciuti al Fisco. E che la Testa non poteva sapere che i soldi che aveva il marito Pio Giuseppe Previtali, cottimista (deceduto nel 2007), provenissero da reati che lui aveva compiuto. E nemmeno poteva immaginare che nei faldoni trovati nella cantina, in un’intercapedine, ci potessero essere documenti importanti".

Il marito finì nel mirino della Procura per associazione a delinquere e una bancarotta fraudolenta da oltre 16 milioni, soldi messi al sicuro tra il 1991 e il 1998. I reati per cui ha patteggiato, evasioni fiscali del marito, Irpef non versata per anni, e Iva non dichiarata, soldi che hanno costituito un discreto gruzzolo. L’ipotesi dell’accusa, è che la moglie avrebbe cercato di ripulire il "denaro sporco" del marito attraverso la voluntary. Testa, ai tempi, aveva chiesto di accedere alla "sanatoria" per i 9 milioni depositati in Svizzera, nel 2016 aveva versato 500 mila euro per regolarizzarli e 3 anni dopo aveva dichiarato che i soldi non avevano un’origine diversa da quella prevista dalla voluntary. Era tutto in regola, per lei. Nel momento in cui l’Agenzia delle entrate ha trasmesso la documentazione in Procura, come da prassi, agli inquirenti è balzata all’occhio la vicenda giudiziaria che aveva riguardato il marito. E lei, secondo l’accusa, ne sarebbe perfettamente consapevole. Francesco Donadoni