L’allevatore Claudio Speziale: "Deluso dal Consorzio del Bitto"

La proposta: "Produrre di meno, ma di qualità. Invece il sistema incentiva a produrre sempre di più e così si continua a sbagliare"

L’allevatore Claudio Speziale

L’allevatore Claudio Speziale

Forcola (Sondrio), 25 giugno 2019 - «Salgo in alpeggio, sull’alpe Caldenno, come tutte le estati. Comincia l’annata 2019 e sicuramente non sarà priva di problemi. Uno su tutti sarà legato alla vendita del formaggio prodotto in alpeggio, colpito da una crisi stagnante che appare senza soluzione, almeno a breve termine. Condivido pienamente il parere di Paolo Ciapparelli, ideatore e presidente del ‘Bitto storico ribelle’, che dice: produrre di meno, ma di qualità. Invece il sistema incentiva a produrre sempre di più e così si continua a sbagliare...».

È il pensiero, in estrema sintesi, di Claudio Speziale, 59 anni, allevatore di vacche con stalla a Forcola, dove risiede con la famiglia, allevatore di terza generazione e che plaude, invece, allo splendido lavoro di pulizia da sassi e rovi fatto per una decina di giorni sul maggengo dai ragazzi e ragazze di padre Lorenzo Salinetti di Berbenno che «si sono rotti la schiena armati di badili, picconi e carriole. Nel loro ritiro in montagna hanno dato un’ottima dimostrazione di quanto sia importante, a livello formativo per i giovani, anche il lavoro manuale».

«Il Consorzio di tutela Bitto e Casera non ha saputo controllare e fare rispettare le regole, finché siamo arrivati al punto di produrre tonnellate e tonnellate di prodotto di scarsa o, meglio sarebbe dire, pessima qualità ora invenduto - sostiene Speziale - screditando, in questo modo, anche i pochi rimasti che producono come si faceva 100 anni fa. Mi passi la vanità, ma io sono fra questi: al bestiame non do da mangiare altro che l’erba e il fieno e dei pascoli in quota, senza alcuna aggiunta di mangimi chimici. Ecco, allora, che dopo 20 anni di appartenenza, ho deciso di uscire dal Consorzio dal quale non mi sento rappresentato». Speziale è come un fiume in piena: «Mi sono sentito preso in giro dal Consorzio tutela Bitto, per regole e controlli che non condivido assolutamente e taluni miei colleghi fuoriusciti prima di me non esitano a definire assurdi. Basti pensare, a titolo di esempio, che mi hanno contestato la presenza in stalla di due vacche di razza valdostana, la mucca da combattimento.

Ebbene, secondo il disciplinare non avrei potuto mettere il latte nel pentolone. Ma quel latte lo utilizzavo per sfamare i loro vitellini. Con tutti i problemi che dobbiamo affrontare, come il basso prezzo che ci viene riconosciuto, a fronte di un prezzo per il consumatore a Milano anche di 35 euro al chilo, la vita dura e piena di sacrifici da sopportare, ho dovuto sorbirmi anche questa ed è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso». Speziale che ha iniziato a lavorare nell’azienda agricola dei genitori da quando indossava i calzoncini corti, anzi «da quando stavo in piedi senza più usare il girello», dice che «l’incentivazione a caricare gli alpeggi per evitare l’abbandono della montagna è in aperta contraddizione con certi interventi. Sono uscito perché non c’è alcun tornaconto economico e chi avrebbe dovuto non è stato capace di salvaguardare la qualità del prodotto che merita davvero di essere tutelato».