Piantedo (Sondrio), 25 settembre 2013 - Ventotto anni ha aspettato, il dottor Ezio Corbellini, per vedere la sua borsa di studio. Correva il 1985 quando iniziò la specializzazione (Chirurgia vascolare) al Policlinico di Milano. Cinque anni di corsia, sala operatoria e laboratorio, tutto gratis, senza ferie né malattie. Eppure il medico valtellinese aveva diritto a un «giusto compenso»: lo stabiliva una direttiva Cee del 1982. Ma l’Italia la recepì solo nel ’91, mentre Corbellini terminava la scuola di specializzazione. Come lui, altri 120 mila medici in Italia (seimila in Lombardia) sono rimasti a bocca asciutta; molti hanno fatto causa e vinto, e lo Stato, finalmente, sta cominciando a pagare un conto che rischia di costare ai contribuenti la cifra-monstre di 4 miliardi di euro. La stima è di Consulcesi, associazione che tutela 40 mila medici in Italia e ha già ottenuto in tribunale risarcimenti per 327 milioni di euro. Tre milioni, parte di quello disposto da una sentenza della Corte d’Appello di Roma dell’aprile 2012, sono stati consegnati ieri a Milano a 116 medici, di cui 36 lombardi. Tra loro Corbellini, che aveva intrapreso l’azione legale alla fine degli anni ’90. Un assegno da 38.830 euro, che vale soprattutto «per il principio», dice il chirurgo, che ha 56 anni, ha lavorato all’Humanitas, all’ospedale di Gravedona e all’Asl di Sondrio e oggi gestisce un centro privato a Piantedo.
 

Questa vicenda ha danneggiato la sua carriera?
«Un danno d’immagine, ma solo perché, fortunatamente, non ho avuto bisogno di lavorare all’estero e sono entrato presto in ambito ospedaliero: per l’inadempienza dello Stato la mia specializzazione non era riconosciuta nell’Ue e dava un punteggio inferiore nei concorsi».
 

La sua vita da specializzando?
«Lavoravo 10-12 ore al giorno, da lunedì a venerdì, facendo di tutto, dalla compilazione delle cartelle alla ricerca. Il fine settimana scappavo in Valtellina, per racimolare qualche soldo con le guardie mediche. Formalmente non avevamo un obbligo di presenza, ma era implicito, altrimenti non andavi avanti».
 

Borsa di studio a parte, la sua situazione somiglia a quella di tanti specializzandi di oggi.
«Infatti, anche perché la mia generazione ha scontato l’effetto del boom del ’68: con l’apertura delle iscrizioni a Medicina, tra il ’74 e l’80 c’era stata una saturazione dei posti negli ospedali... Io ho combattuto perché ingiustizie come quella che ho subito non devono accadere ai nostri figli».

di Giulia Bonezzi