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di MICHELE PUSTERLA
— SONDRIO —
«L’OPERATO tecnico della dottoressa Delia Colombo fu corretto ancorchè in presenza di una eccessiva inoculazione del prodotto, evento di frequente riscontro e nel quale non si ravvedono elementi di malpratica professionale».
È un passaggio, molto importante, delle conclusioni del perito Piero Massi Benedetti, incaricato lo scorso 20 aprile dal gip di Sondrio, Pietro Della Pona, di effettuare una consulenza tecnica medico-legale d’ufficio in relazione al trattamento alla quale si era sottoposta una sondriese di mezza età in un Centro estetico (i cui dirigenti non risultano tuttavia indagati). La donna si era rivolta a quel centro, situato nella parte vecchia del capoluogo valtellinese, per eliminare alcune rughe al volto. Poi la cliente, assistita dall’avvocato Renzo Pinos di Sondrio, presentò denuncia alla Procura ritenendosi danneggiata (all’emilabbro superiore sinistro presentò delle neoformazioni) dall’intervento estetico della professionista, in seguito iscritta al registro degli indagati dall’allora procuratore Gianfranco Avella con altre 7 persone, in prevalenza amministratori e responsabili di un’affermata azienda farmaceutica con sede a Monza, fornitrice del prodotto. Il magistrato, nell’inchiesta, ha ipotizzato il concorso in lesioni colpose e commercio o somministrazione di medicinali guasti. Ipotesi accusatorie da subito respinte dalla dottoressa Colombo e dal suo avvocato, Paolo Vinci del Foro di Milano, docente in materia di diritto sanitario e civile per il Corso riservato agli iscritti alla Scuola di specialità in Chirurgia Orale dell’università Bicocca. E ora l’esito della perizia del consulente d’ufficio, discussa l’altro giorno nell’incidente probatorio, va decisamente a sostegno della tesi sostenuta dall’avvocato Vinci. Scagiona la professionista anche se qualche rilievo le viene mosso.
«Censurabile - scrive il dottor Benedetti di Pavia, medico chirurgo specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni - la mancanza di un’acquisizione di un consenso informato scritto prima dell’esecuzione dell’atto medico (inoculazione del filler) e ancora più la reiterata prescrizione telefonica di farmaci senza visitare la paziente. Tale condotta non ha permesso al sanitario di constatare la reale natura delle neoformazioni protraendo la malattia. Lo Hyaluvit (ossia il filler a base di acido ialuronico a bassa densità: ndr) è un dispositivo medico di classe III, gli elementi oggettivi della vicenda in oggetto permettono di affermare che quello utilizzato nel caso concreto non fosse guasto o imperfetto». E ancora: «Alle lesioni non sono residuati postumi permanenti penalmente rilevanti». Adesso la Procura dovrà decidere se procedere con l’inchiesta, oppure avanzare richiesta di archiviazione.