Smog, la Lombardia resta zona rossa

Meno traffico e riscaldamenti fermi nelle attività commerciali chiuse: il lockdown di novembre non ha migliorato la qualità dell’aria

Milano avvolta dallo smog

Milano avvolta dallo smog

È una Lombardia divisa in zone di diversi colori quella che appare sul sito internet di Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente. A dominare è una vasta area rossa: confina a nord con le province di Varese, Como, Bergamo, comprende Brescia, Milano, Monza, tutta la fascia centrale e la Bassa. Un perimetro sottile giallo sopra la linea di demarcazione settentrionale separa la zona rossa da quella azzurra che si estende dalle Prealpi orobiche e varesine ai comuni montani della Valtellina. A determinare i colori (questa volta) non è il coronavirus, ma il valore medio di particelle inquinanti sospese nell’aria: il Pm10. Tre settimane di lockdown non sono bastate a migliorare la qualità dell’aria in Lombardia, che si conferma una delle grande malate di smog in Italia e in Europa.

Milano, 29 novembre 2020 - Diciassette giorni da bollino rosso a Milano. Quindici a Bergamo, 14 a Monza. Sopra quota dieci si trovano anche Cremona, Lodi, Como, Brescia e Pavia. Novembre non è ancora finito. Ma ci sono città che, nonostante le restrizioni imposte dal lockdown alla mobilità e alle attività commerciali in vigore dal 6 novembre in tutta la regione, hanno “bruciato“ metà bonus (o quasi). Si tratta delle 35 giornate all’interno di un anno solare in cui è consentito lo sforamento del limite quotidiano di 50 microgrammi per metro cubo d’aria di Pm 10, le polveri sottili. Con l’istituzione della zona rossa in Lombardia, la didattica a distanza e l’incremento dello smart working da casa il traffico è calato. Bar, ristoranti, centri commerciali chiusi così come i negozi non considerati essenziali hanno ridotto le emissioni del riscaldamento nel terziario. Eppure - complice tre settimane pressoché senza piogge - solo la Valtellina, le Prealpi varesine, orobiche e lecchese sono riuscite a mantenere le particelle inquinanti sospese entro i valori limiti.

Guido Lanzani, responsabile della qualità dell’aria di Arpa Lombardia, come spiega questi risultati? "Prima di esprimere una valutazione sul mese di novembre occorrono dati definitivi. È necessario però considerare alcune premesse: ha piovuto poco, per cui anche un confronto con novembre 2019, con condizioni di traffico normali, perderebbe di significato dal punto di vista scientifico. Un anno fa le precipitazioni furono significative". I valori alti del Pm10 anche in regime di lockdown hanno portato alcuni rappresentanti delle istituzioni a sostenere che il traffico non incide in modo determinante sull’inquinamento. Una bocciature delle politiche legate allo stop alle auto... "L’analisi relativa all’effetto sulla qualità dell’aria delle restrizioni alla mobilità nei mesi di marzo e aprile aiuta a capire la complessità dell’argomento. Durante il primo lockdown abbiamo registrato una flessione del traffico fino all’80%. Lo stop alle attività produttive ha fermato il 30% dell’industria mentre l’attività agricola è rimasta pressoché invariata. Per quanto riguarda il riscaldamento, soprattutto nel mese di marzo, c’è stato un leggero aumento delle emissioni, legate in particolare alla combustione della legna (+2-3%). Mi riferisco ad esempio a situazioni di persone rimaste a casa, in villetta, che invece di raggiungere l’ufficio nella grande città sono state costrette a lavorare da casa e hanno utilizzato la stufa ancora presente nelle abitazioni private come complemento del sistema di impianto termico principale. Il risultato è stata una diminuzione delle sostanze inquinanti non omogenea". Ad esempio? "Gli ossidi di azoto (NoX) sono diminuiti fino al 44% in termini di emissioni perché la loro fonte di produzione primaria sono i veicoli. Sono quasi dimezzati, non azzerati perché il 70% dell’industria non si è fermata. Per quanto riguarda invece il Pm10 primario, le emissioni sono scese del 20%. A questo scenario abbiamo applicato dei modelli matematici per verificare in condizioni di traffico normale, e quindi non in una situazione di lockdown, cosa sarebbe cambiato: il calcolo ha dato risultati differenti. La concentrazione di ossidi di azoto è scesa al 47%, in linea con il calo delle emissioni. Mentre la presenza di particelle sospese nell’aria ha fatto segnare un meno 8% perché esiste un Pm10 secondario che si forma nell’atmosfera a partire da altre sostanze tra cui l’ammoniaca". Questo studio è una risposta concreta a chi sottovaluta il “peso“ del traffico sulla qualità dell’aria? "Dice chiaramente che la diminuzione del traffico fa scendere sensibilmente la presenza di ossidi di azoto. E, nello stesso tempo, che incide anche sul Pm10, anche se per questo valore l’analisi è più complessa: il traffico è uno dei fattori insieme a riscaldamento, industria e agricoltura". Quando analizzerete con gli stessi modelli matematici anche i valori di novembre vi aspettate conclusioni simili? "Di certo i dati di questo mese confermano la complessità degli interventi da attuare per limitare la presenza del Pm10. Sui calcoli finali bisognerà capire quanto cambieranno in base a due premesse: il calo del traffico è stato inferiore rispetto al primo lockdown e la stagione termica è in fase iniziale mentre tra marzo e aprile si avviava alla conclusione".