Delitto a Cusano Milanino, non fu omicidio ma eccesso di legittima difesa

Condannato a tre anni per eccesso di legittima difesa il tassista Paolo Minolfi che accoltellò Giuseppe Alessio

La villa dell’ereditiera contesa dai due

La villa dell’ereditiera contesa dai due

Cusano Milanino (Milano), 14 maggio 2020 -"Eccesso colposo di legittima difesa". Si è concluso con una riqualificazione del reato il processo a Paolo Minolfi,il tassista 38enne di Paderno Dugnano che il 25 maggio scorso uccise il 42enne cusanese Giuseppe Alessio, ex compagno di una ereditiera di Milanino con la quale Minolfi aveva da pochissimo stretto una relazione. A quasi un anno da quel tragico sabato mattina nel quale si consumò il cosiddetto "omicidio di Milanino", il tribunale di Monza ha rivisto il reato, passando da omicidio volontario a un più morbido eccesso di legittima difesa che per Paolo Minolfi ha significato una condanna a 3 anni, e che potrebbe significare un rapido ritorno alla libertà, se pure condizionata. Da circa due mesi l’uomo si tova agli arresti domiciliari nella sua casa di Paderno. Un esito non scontato, se si pensa che Minolfi, fino ad allora incensurato, era stato arrestato il giorno stesso della morte di Giuseppe Alessio, con un capo d’accusa gravissimo e tante prove a suo carico. I due uomini si era affrontanti per motivi passionali nel cortile di una delle ville più ricche e sontuose dil viale Buffoli, cuore dell’agiato quartiere di Milanino.

La dimora nella quale viveva l’ereditiera con la quale aveva stretto una relazione appena una decina di giorni prima. Secondo l’accusa, Minolfi aveva impugnato un coltello per affrontare l’ex compagno della donna che si era introdotto nella proprietà in evidente stato di alterazione. Al culmine di una lite era partita quella coltellata fatale al costato. Gli avvocati Massimiliano lanci e Pasquale Paolo Cutolo avevano da subito messo in dubbio quella ricostruzione avanzata dai carabinieri e dal pm Emma Gambardella. Per questo avevano chiamato il generale Luciano Garofalo, ex comandante dei Ris per confutare il racconto e raccogliere nuovi elementi di prova che hanno contribuito a riscrivere la storia di quelle ore.

I due si sono sì affrontati sul ballatoio e poi nel giardino della villa, ma la ferita letale sarebbe sta provocata dalla lama di un coltello da cucina che il tassista padernese aveva impugnato per difendere se stesso, la sua compagna dell’epoca e una minorenne presente nella casa, dalla furia dell’uomo che aveva scavalcato il cancello pur di entrare. "Non abbiamo mai creduto al fatto che un uomo tranquillo come Paolo Minolfi potesse essere un assassino – hanno spiegato i due legali -. Per questo ci siamo mossi con ogni mezzo per reperire le prove che potessero spiegare ciò che è accaduto davvero quella mattina". Fondamentale per convincere il giudice Cristina Di Censo è stato l’esame della ferita, una sola e non due, come asserito in un primo momento.