di Raffaella Foletti

Milano, 12 maggio 2013 - «Finalmente è venuto il mio turno di parlare. Lunedì sarò in Tribunale, e poi a tutte le udienze. Mi dovranno assolvere non solo perché io non ho mai commesso quegli episodi di corruzione, ma perché il fatto non sussiste. Cioè non è stato commesso affatto. E non sussistono neppure le accuse: Di Caterina non ha mai puntato il dito contro di me. Intanto però hanno rovinato me e la mia famiglia, professionalmente e moralmente. Mi hanno persino interrogato quattro ore prima del funerale di mio padre». Non ha concesso una parola in due anni d’inchiesta, Antonino Princiotta. Ma questa volta, con il telefono che lo sorprende mentre suda sotto il sole lavorando nella vigna nell’Oltrepo pavese, è un fiume in piena.

L’ex segretario generale della Provincia al fianco dell’ex presidente Filippo Penati domani vedrà l’avvio a Monza del rito immediato, chiesto «sperando che sia immediato davvero, mentre con l’accorpamento all’altro processo dovremmo aspettare ancora fino a giugno per dire la nostra». L’altro procedimento è quello al cosiddetto Sistema Sesto, e l’accorpamento è stato chiesto dalla difesa di Piero Di Caterina, grande accusatore e primo rinviato a giudizio.

«Con Piero siamo stati profondamente amici per dieci anni. Non solo non mi ha mai corrotto, ma nemmeno dice di averlo fatto. Che effetto può farmi trovarmelo davanti in aula? Lui ha fatto le sue scelte, io non lo giudico». Princiotta deve rispondere di concorso in corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. Secondo la Procura: l’imprenditore Di Caterina avrebbe pagato Princiotta per risolvere a suo favore un contenzioso con Atm, da cui vantava crediti per 12 milioni per mancati incassi dalla vendita dei biglietti del circuito Sitam. Con una delle ultime delibere della Giunta provinciale di Penati sarebbero stati sbloccati oltre 12 milioni per la Caronte di Di Caterina, provvedimento firmato da Princiotta. «Ma lo stesso Di Caterina dice di non avermi mai dato soldi».

Soldi, invece, Princiotta ne ha spesi di suo: «Duemila euro solo per duplicare le 35mila pagine del fascicolo. Così voluminoso da far pensare che si volesse impedire il diritto alla difesa». Ma se Di Caterina non c’entra, chi ha voluto «rovinarmi la salute e la vita, ma ne dovrà rispondere»? Alterna riso e lacrime, Princiotta. Ma l’emozione non lo tradisce al punto di concedersi dannose tentazioni: «Sono un fedele servitore dello Stato, un funzionario irreprensibile con 33 anni di onorata carriera. La garanzia della legittimità degli atti è il mio mestiere, sono io. Quindi ho anche il massimo rispetto per tutte le istituzioni, a cominciare dalla magistratura». E allora? «Forse hanno pensato che fossi il depositario di chissà quali segreti di Penati. Le forzature, come prelevarmi poche ore prima dell’ultimo saluto a mio padre, non sono mancate».

Penati, appunto, che va in Tribunale a giocarsi il jolly della prescrizione: «Nel mio caso i sette anni e mezzo non incombono perché i fatti contestati, e mai avvenuti, risalgono al 2008-2009. Ma se mai dovesse capitare, io la prescrizione non la voglio di sicuro. Voglio uscirne assolto, financo in Cassazione. Penati farà lui la sua scelta. Quello che so, io che politica non ne ho mai fatta, è che è un grande amministratore e un grande politico. In sei anni di lavoro fianco a fianco non mi ha mai chiesto alcunché di illecito, nemmeno di indirizzare in alcun modo il percorso di una pratica o di un provvedimento ineccepibili».

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