Cinisello Balsamo, 8 ottobre 2011 - Ogni mattina accompagna il proprio figlio all’asilo nido prima di recarsi al lavoro, ha quasi l’impressione che quegli istituti esistano da sempre. Così indispensabili nella vita di oggi, sia per consentire ai genitori di lavorare che per fornire i primi approcci educativi ai bambini. Eppure, soltanto 40 anni fa i nidi pubblici in Italia praticamente non esistevano, e proprio a Cinisello Balsamo, dove oggi ben 400 bambini frequentano le strutture pubbliche e private, si stava verificando una storica rivoluzione civile della quale non sono rimaste che poche tracce.

I primi nidi comunali che si possano ricordare in Italia sono stati creati a Cinisello nell’autunno del 1971. L’allora sindaco Enea Cerquetti, un rivoluzionario del Pci dalle idee geniali che hanno lasciato il segno soprattutto in ambito sociale, li realizzò in un ex supermarket di via san Carlo a Balsamo, in una portineria della cooperativa La Previdente in via Marconi e soprattutto in un attico all’ultimo piano dei palazzoni di viale Fulvio Testi 174. «Da quell’appartamento con terrazzo si vedeva tutta Milano», ricorda ancora emozionato.

Quei tre asili erano stati l’esito di Una battaglia civile condotta dagli amministratori dell’epoca che, anticipando le norme nazionali, avevano messo al bando i vecchi istituti dell’Onmi (Opera nazionale maternità e infanzia), devastati dagli scandali, varando un piano assolutamente unico. A Cinisello in quegli anni il 40% della popolazione era al di sotto dei 20 anni, i bambini erano tantissimi e le mamme non potevano lavorare se non avevano un supporto. «Nel mio programma elettorale c’era un capitolo che si chiamava Anticipazione delle riforme — racconta orgoglioso Cerquetti —, il nostro impegno era quello di misurarci con i problemi reali anche quando le leggi dello Stato tardavano ad arrivare. Così è stato per i nidi. Avevamo compreso che la strada da seguire era quella di una gestione comunale. Così ci siamo mossi chiedendo anche alle aziende del territorio di collaborare». Questo fu l’aspetto più rivoluzionario e complicato dell’intera vicenda.

«Una ventina di aziende diedero la loro disponibilità a offrire un contributo, ma Assolombarda e Confapi — ricorda — si fecero sentire, affermando che quella era in realtà una tassa occulta pericolosa per l’intero sistema industriale italiano. Una grossa mano venne dai consigli di fabbrica che aprirono vertenze ovunque. Alla fine l’idea del contributo passò, anche grazie alla collaborazione di Balilla Paganelli che offrì la sua disponibilità e quella degli imprenditori a lui più vicini».

Tre nidi nacquero in un batter d’occhio grazie ai locali presi in affitto dal Comune. Il quarto nido nacque un anno più tardi in via Monte Grappa dove venne ristrutturato un ex circolo della cooperativa Matteotti. Per far fronte alla necessità di insegnanti, Cerquetti raggiunse un accordo con l’ospedale Bassini che accettò di istituire una scuola per vigilanti d’infanzia e puericultrici. «È stato stabilito un rapporto tra assistenti e bambini così dimensionato: 1 a 5, sotto i 12 mesi; 1 a 6, da 12 a 24 mesi; 1 a 7, dai 2 ai 3 anni» si legge nei documenti dell’epoca. Tutti dettagli che diventarono il modello sul quale un paio di anni più tardi il parlamento diede vita alla prima legge sui nidi. «A quell’epoca tutto sembrava più semplice da realizzare. Nonostante le difficoltà, avevamo la convinzione che se una cosa era giusta, bisognava realizzarla a tutti i costi».