Sesto San Giovanni, 25 agosto 2011 - L'ex assessore del Comune di Sesto San Giovanni, Pasqualino De Leva e l'architetto comunale Marco Magni, sono stati arrestati su richiesta della procura di Monza nell'ambito dell'inchiesta su presunte tangenti per la riqualificazione dell'area ex Falck. Respinta dal Gip un'analoga richiesta avanzata per l'ex sindaco Filippo Penati.

Le due ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state emesse dal Gip del Tribunale di Monza, Anna Magelli, su richiesta dei pm di Monza Franca Macchia e Walter Mapelli, che coordinano l'inchiesta che vede tra gli indagati anche l'ex vicepresidente del consiglio regionale lombardo Filippo Penati, accusato di corruzione, concussione e illecito finanziamento dei partiti.

Le indagini puntano a ricostruire alcune procedure amministrative relative a interventi di carattere urbanistico, in merito alle quali la Guardia di Finanza di Milano aveva eseguito numerose perquisizioni, lo scorso luglio, anche presso il Comune di Sesto San Giovanni. Secondo l'accusa, sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano di Governo del Territorio.
 

NO ALLE MANETTE PER PENATI, MA "FATTI GRAVISSIMI" - Il Gip ha invece respinto la richiesta di custodia cautelare in carcere per Filippo Penati e per il suo collaboratore Giordano Vimercati. Per loro, stando al giudice per le indagini preliminari, sarebbe intervenuta la prescrizione in riferimento ai fatti di corruzione contestati dalla procura di Monza. Le due ordinanze di custodia cautelate in nei confronti dell'ex assessore del Comune di Sesto San Giovanni, Pasqualino Di Leva, e dell'architetto Marco Magni, sono state invece accordate dal Gip Magelli, in quanto ha ritenuto che per i due indagati ci fosse il pericolo di reiterazione del reato.

Secondo il gip gli atti dell'inchiesta "dimostrano l'esistenza di numerosi e gravissimi fatti di corruzione posti in essere da Filippo Penati e da Giordano Vimercati nell'epoca in cui questi rivestivano la qualifica di pubblici ufficiali prima presso il Comune di Sesto San Giovanni e poi presso la Provincia di Milano".

È quanto si legge nell'ordinanza di custodia cautelare con cui ha disposto l'arresto dell'ex assessore Di Leva, dimessosi il giorno dopo essere stato perquisito lo scorso luglio, e dell'architetto Magni e con la quale ha invece respinto analoga richiesta da parte della procura per Penati e Vimercati. Il gip spiega infatti che "per quanto attiene ai fatti di corruzione posti in essere da Penati e da Vimercati si tratta di episodi che risalgono agli anni Novanta e agli anni dal 2000 al 2004 (quando Penati è stato eletto presidente della Provincia, ndr), rispetto ai quali, pur in presenza dei prescritti requisiti dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, l'applicazione di qualsivoglia misura cautelare è preclusa dalla intervenuta causa di estinzione del reato rappresentata dal decorso del termine massimo di prescrizione".

 

"UNA SPICCATA CAPACITA' A DELINQUERE" - Definisce "spiccata" il gip Anna Magelli "la capacità a delinquere" degli indagati e "la loro pericolosità sociale". È quanto si legge nell'ordinanza di arresto per l'ex assessore comunale all'Edilizia di Sesto, Pasqualino Di Leva, e per l'architetto Marco Magni.

Nella parte del documento dedicata alle esigenze cautelari, il gip scrive che nel caso specifico si ravvisa il pericolo di reiterazione dei reati e di inquinamento probatorio e che "a fronte della gravità dei fatti, che si inserisce nella cornice di un sistema di corruzione che ha contraddistinto per lungo tempo la gestione della cosa pubblica da parte di alcuni pubblici amministratori, e della pervicacia dimostrata dagli indagati nel perseverare nella loro illecita attività, spiccata è la capacità a delinquere dei medesimi e dunque la loro pericolosità sociale". È sulla base di questa considerazione che Magelli spiega di dover disporre il carcere per i due indagati e non una misura cautelare meno coercitiva come quella degli arresti domiciliari.

Quanto considerato, scrive infatti Magelli, "impedisce di formulare nei loro confronti quel minimo di fiducia
sulla quale poggia la possibilità di applicare misure più blande che prevedono da parte degli indagati la spontanea osservanza delle prescrizioni imposte. Un analogo giudizio sfavorevole è allo stato l'unico formulabile
anche con riferimento alla misura degli arresti domiciliari, che comunque prevede margini di libertà che allo stato male si attagliano alla necessità di tutela cautelare sopra descritta".

Nemmeno il fatto che Di Leva e Magni sono incensurati permette di prendere decisioni differenti: "Quanto al dato formale dell'incensuratezza - conclude il gip -, che potrebbe suggerire una qualche valutazione positiva circa la capacità a delinquere degli indagati, si osserva che tale dato, nel caso concreto, assume una valenzza meramente formale, e per così dire neutra, tenuto conto delle condizioni di vita individuale e professionale degli indagati, che del tutto verosimilmente non avrebbero raggiunto quelle posizioni lavorative (soprattutto l'ufficio
pubblico di assessore) nel cui ambito hanno commesso i reati, se non avessero avuto annotati precedenti penali a loro carico".

 

SERATE E VIAGGI IN UCRAINA A SPESATI DA DI CATERINA - L'imprenditore Pietro Di Caterina utilizzava denaro "per pagare i conti di tante serate e nottate passate in Svizzera. In precedenza sempre con Princiotta (ex segretario generale Provincia di Milano), Penati (ex presidente della Provincia di Milano), Vimercati (collaboratore di Penati) e Maggi avevamo fatto viaggi in Ucraina, Romania, Russia, Lituania. A loro pagavo il soggiorno, necessita' varie, ristoranti e locali notturni". Lo ha dichiarato lo stesso Di Caterina, in uno degli interrogatori resi agli inquirenti.

Le dichiarazioni sono riportate dal Gip del tribunale di Monza Anna Magelli nell'ordinanza di custodia cautelare di Di Leva e Magni. L'imprenditore Pietro Di Caterina e' uno degli accusatori di Penati. Con lo stesso documento il giudice ha respinto l'arresto di Filippo Penati, in quanto i fatti a lui contestati sarebbero prescritti. Le sue parole citate dal Gip Magelli arrivano a smentire in parte le dichiarazioni della moglie, Angiolina Navoni, che aveva attribuito parte di tali somme (in particolare pagamenti del settembre 2008) uscite dai conti delle societa' di famiglia, come pagamenti a Filippo Penati. Di Caterina dice invece, come riportato nell'ordinanza, che le aveva prese "per averle disponibili e per pagare tante serate e nottate passate in Svizzera" e che quindi "non collego quei pagamenti a Penati in quanto nel 2008 non veniva piu' con me in Svizzera e in viaggi vari".

 

NESSUN FINANZIAMENTO ILLECITO AL PD - Nessun finanziamento illecito al Pd e' stato provato: lo spiega il gip di Monza Anna Magelli affrontando il capo d'imputazione relativo al reato di finanziamento illecito contestato a Penati e a Giordano Vimercati, rispettivamente nelle vesti di Presidente della Provincia di Milano e suo capo di gabinetto in Provincia.

Il riferimento e' alla vicenda dei 2 milioni di euro arrivati ai due politici "a titolo di contributo da parte della societa' Codelfa senza che fosse intervenuta la deliberazione dell'organo societario e comunque senza che il contributo venisse iscritto regolarmente nel bilancio della societa'". "Rispetto a tale incolpazione - scrive il gip - si osserva brevemente che ad oggi la stessa sembra incentrata su un solo elemento obiettivo: il pagamento della somma di 2 milioni di euro a Piero Di Caterina mediante un assegno tratto sul conto corrente intetato a Codelfa spa
(...) Il che tuttavia non e' sufficiente a far ritenere che detta somma di denaro, pagata a Di Caterina in restituzione di precedenti finanziamenti erogati a Filippo Penati, riguardasse somme effettivamente confluite nelle casse del Partito Democratico senza deliberazione dell'organo societario di Codelfa e senza che il contributo sia stato regolarmente iscritto nel bilancio della societa'".

"Sul punto - argomenta il gip - nessuna dichiarazione sufficientemente precisa e circostanziata e' stata resa da Di Caterina, ne' da Pasini i quali, quando hanno pagato le somme di denaro richieste loro da Penati, hanno al piu' supposto e ipotizzato che almeno parte delle stesse potessero confluire al partito", Inoltre, sostiene
il gip, quando Di Caterina afferma che erano "prestiti non personali a Penati ma alla politica" "non precisa quale sia stata la fonte e le modalita' di conoscenza di tali circostanze e "nessuna acquisizione documentale sul punto e' stata eseguita al fine di effettuare le prime verifiche sulla effettiva mancata deliberazione e annotazione di tale contributo".

 

"PENATI TEME LE RIVELAZIONI DI CATERINA" - Filippo Penati ''si sente costantemente in debito'' con l'imprenditore Piero Di Caterina, col quale aveva ''rapporti di dare/avere'', ne teme perciò ''le rivelazioni'' e per questo dimostra una ''perdurante disponibilita''' ad ''intervenire'' nel suo ''interesse'' anche ''con gli esponenti della neo giunta milanese''. Per il gip, l'''indizio principe'' dei rapporti tra Di Caterina e Penati e' rappresentato ''dal preliminare di vendita concluso il 14-11-2008 da Di Caterina e da Bruno Binasco", che e' un ''mero strumento giuridico volto a fornire una giustificazione del passaggio dal Gruppo Gavio a Di Caterina della somma di 2 milioni di euro''.

Somma, spiega il gip, ''che corrispondeva all'importo delle somme che a quell'epoca Penati doveva ancora restituirgli (a Di Caterina, ndr), a fronte di finanziamenti sino a quel momento ricevuti dallo stesso Di
Caterina''. Il giudice, inoltre, riporta in parte anche il contenuto di una telefonata del 17 maggio 2010 tra Penati e il titolare dell'azienda di trasporti Caronte. Di Caterina, si legge nell'ordinanza, ''in ordine alle concessioni relative al
trasporto pubblico'' chiede al ''politico un suo diretto 'intervento''' sui sindaci di Cinisello Balsamo e Segrate.
Penati gli dice: ''Fammici muovere adesso, fammi muovere, capire chi c'e' li' dove si puo'''. Inoltre, scrive ancora il
gip, l'ex presidente della Provincia di Milano interviene ''in prima persona nei confronti di alcuni sindaci aderenti al
Consorzio'', il Consorzio Trasporti Pubblici, ''(peraltro con nessun risultato favorevole a Di Caterina) non declinando l'invito rivoltogli da Rugari (Antonio, presidente del Consorzio, ndr) ad interfacciarsi a tale riguardo anche con gli esponenti della neo giunta milanese''. Peraltro, conclude il gip, ''di tali eventuali contatti con gli assessori milanesi in atti non vi e' traccia alcuna''.

TRA PENATI E PASINI ACCORDO, NON RICATTO - Per il gip Anna Magelli "quello tra Penati e Pasini è stato un vero e proprio accordo" motivo per cui la presunta mazzetta che sarebbe stata versata dall'imprenditore al politico per approvare il piano di riqualificazione dell'area ex Falck integra il reato di corruzione e non quello di concussione contestato dalla procura, che in sostanza è l'estorsione da parte di un pubblico ufficiale. Il gip ricorda infatti che le condizioni che avrebbe posto da Penati per dare il via libera al piano, ovvero la mazzetta da 20 miliardi di lire e l'ingresso nell'operazione di due cooperative emiliane, sarebbero state accettate da Giuseppe Pasini prima dell'acquisto dell'area.

"Quest'ultimo, dunque - scrive nell'ordinanza -, prima di rilevare i terreni sui quali sorgevano i noti stabilimenti siderurgici ben conosceva e accettava in modo del tutto volontario le richieste rivoltegli da Penati e Vimercati, i quali, sin dai primi colloqui avuti con l'imprenditore, e ancora prima tramite il portavoce Diego Cotti (genero di Pasini, ndr), subordinarono la concreta fattibilità del piano edilizio su quest'area al pagamento di un 'contributo'
alla politica e all'ingresso delle cooperative in tale affare".

Insomma, Pasini non è stato costretto e "valutata evidentemente la convenienza dell'affare nel suo complesso ha accettato di acquistare l'area per ivi realizzare il piano di recupero alle suddette condizioni". Diverso invece il ragionamento dei pm Franca Macchia e Walter Mapelli, secondo i quali Pasini si è trovato "nella posizione di chi è costretto a subire la pretesa estorsiva del pubblico ufficiale". Ad avviso dei pm, era in una posizione che non lasciava possibilità di scelta: "o pagare le somme di denaro e soddisfare le altre richieste avanzate da Penati, o andare incontro a un esito fallimentare dell'iniziativa, con rilevantissima decurtazione del proprio patrimonio" a causa dell'esposizione bancaria.