Sesto San Giovanni, 3 giugno 2011 - La porta di ingresso rimane chiusa, così come le finestre, in quell’appartamento di via Migliorini dove la madre e la sorella di Antonio Giordano cercano di andare avanti. «Vi prego, basta, non ce la facciamo più». Voce esasperata, parla attraverso il citofono la sorella del muratore accusato di aver ucciso Gianina Viorica Ganfalianu, prostituta romena di 43 anni, nel suo box auto di vicolo Villa Rachele, a Cinisello Balsamo.

«Viene dipinto come un mostro, come un assassino e un barbone. Non è così. È un padre di famiglia, è un gran lavoratore. Questa non è l’immagine buona, che abbiamo noi di lui: è proprio lui che è così». Separato dalla moglie, con due figli di 8 e 11 anni, Giordano era tornato a vivere con la madre e la sorella al Villaggio Falck. Aveva perso il posto fisso, si arrangiava con qualche lavoretto. Le notti in quel box di Cinisello, nel vicolo Villa Rachele, dove mercoledì mattina i carabinieri hanno trovato il cadavere della prostituta incaprettato, con il collo legato a una trave e la bocca stretta da uno spesso nastro adesivo.

«Certo che sapevamo che Antonio aveva questo box e l’altro a Sesto, ma non immaginavamo cosa ci facesse dentro». Per la famiglia si trattava di un normale garage, dove parcheggiare l’auto e tenere quegli attrezzi che gli servivano per lavorare e portare qualche soldo a casa. «Non è un serial killer, non è un assassino. È una brava persona e non solo perché è mio fratello: è stato detto di tutto su di lui. Non vogliamo più sentire menzogne». Resta ancora da chiarire cosa sia successo in quella squallida alcova, dove è stato ritrovato il cadavere della prostituta romena.

Interrogato per la seconda volta, dalla cella del carcere di Monza, Giordano continua a ripetere la sua verità. «Non volevo ucciderla». Solo un «gioco erotico finito male», dice il muratore, mentre la procura continua a muoversi nell’ambito dell’omicidio volontario. Per il momento rimane ancora aperta la pista del serial killer. Ipotesi rigettata con sdegno dal fratello Enzo.

«Si cercano indietro negli anni altre donne uccise: quella strangolata con una calza a Sesto e quella picchiata a sangue da un uomo su una Bmw nel 2006. Si è detto che i sospetti si sono concentrati su di lui perché aveva lo stesso modello di auto. Ma non è vero: Antonio nel 2006 aveva una Seat Cordoba rossa». La svolta nelle indagini potrebbe arrivare dai risultati dei Ris di Parma, che hanno sequestrato 300 reperti organici e inorganici dal box del delitto.