Cinisello Balsamo, 19 febbraio 2011 - «Forse serviva che io fossi morto ai giudici, per decidere che quelli sono degli assassini?». Quasi non ci crede Remigio Radolli. Dinanzi alla notizia che le pene dei suoi assalitori sono state praticamente ridotte a un terzo e derubricate a semplice rapina, reagisce con una risata densa di rabbia, delusione e incredulità. Quel 16 aprile 2009, quando due malviventi albanesi hanno assaltato la sua gioielleria di via Garibaldi, innescando una colluttazione che si è conclusa con una sparatoria, la sua vita è stata invasa e devastata. Il suo sembra il racconto di un film dell’assurdo, dove le vittime vengono imputate e dove i malfattori se la cavano sempre.

«In questo momento mi vergogno di questo Paese. Non possiamo considerare civile un Paese che rimette per la strada due delinquenti dopo tutto quello che hanno combinato». Radolli la notizia la riceve nel suo negozio, nel tardo pomeriggio. «Avevo deciso di non andare in aula perché insieme al mio avvocato avevamo pensato che ci sarebbe stata una riduzione pena. Si pensava a un aggiustamento di qualche mese, non a questo scempio della giustizia». Il primo grado di questo complesso processo in cui lo stesso Radolli era stato indagato e poi scagionato per eccesso di legittima difesa dopo che aveva sparato al proprio aggressore, era sembrato quasi perfetto.

Il Tribunale di Monza aveva condannato a 12 anni e 4 mesi per tentato omicidio e tentata rapina aggravata dall’uso delle armi Blerim Mani, l’albanese trentenne che con la propria violenza aveva indotto Radolli a sparare, e a 11 anni di reclusione per concorso negli stessi reati il connazionale Roland Kaci, rimasto fuori a fare il palo. Gli attimi di quell’aggressione di violenza inaudita erano stati registrati dalle telecamere interne al negozio. Ogni frame di quella videocassetta sembrava confermare le tensioni, la paura e la reazione del gioielliere dinanzi a una aggressione di rara barbarie. Invece la sentenza d’appello sembra rimettere in discussione ogni cosa.

«Non conosciamo le motivazioni, ma ritengo che nessuna motivazione possa giustificare la decisione dei giudici. Come si può accettare che chi ha tentato di ammazzarmi venga liberato dopo che in primo grado aveva ricevuto una condanna esemplare? È proprio vero che i giudici — si sfoga il gioielliere — non sentono minimamente le responsabilità delle loro decisioni. Secondo gli avvocati, tra sei mesi questi personaggi potrebbero uscire dal carcere. Con le nostre leggi ce li ritroveremo presto per strada, con in più la convinzione di essere impuniti».

Tra rabbia e angoscia per questa decisione, Radolli non può fare a meno di tornare indietro a quel giorno: «Ci penso ogni mattina, quando alzo la serranda ed entro in negozio. Ci penso ogni volta che mangio e che devo fare i conti con i denti rotti e le mascelle fratturate. Per me questa vicenda è una condanna a vita, per loro i giudici l’hanno trasformata quasi in una bravata».