Cadavere murato a Senago, restano tutti in cella

Omicidio Lamaj: il Riesame nega la scarcerazione agli indagati

 I carabinieri nel lussuoso residence di Senago

I carabinieri nel lussuoso residence di Senago

Senago (Milano), 13 aprile 2019 - Restano in carcere gli indagati per l’omicidio dell’albanese murato sei anni fa sotto un residence a Senago. Mentre la Procura di Monza dispone nuovi accertamenti tecnici sui luoghi teatro del delitto e dell’occultamento del cadavere. Il Tribunale del Riesame di Milano ha risposto picche ai ricorsi presentati per ottenere la scarcerazione dagli indiziati della morte di Astrit Lamaj, scomparso improvvisamente a 42 anni nel gennaio 2013. Intanto non si fermano le indagini dei carabinieri, coordinati dal pm Rosario Ferracane, sul brutale assassinio, scoperto quando ha deciso di collaborare con la giustizia Carmelo Arlotta, pregiudicato siciliano trapiantato da anni a Muggiò.

Gli inquirenti hanno eseguito un nuovo sopralluogo nel box di via Montegrappa a Muggiò dove, secondo il racconto di Carmelo Arlotta, l’albanese è stato attirato con la scusa di una compravendita di droga, stordito con un colpo contundente e poi strangolato con un filo di nylon. Poi si sono recati anche nell’appartamento in via XXV Aprile in uso a Francesco Serio, dove il cadavere di Astrit Lamaj sarebbe stato nascosto in attesa di trasportarlo al residence in ristrutturazione ‘Villa degli Occhi in via XXIV Maggio a Senago, dove il corpo è stato murato dentro un antico pozzo artesiano. Nuovi accertamenti alla ricerca di tracce di sangue ed altri riscontri sull’effettiva presenza della vittima e sulle parole del pentito. Secondo Carmelo Arlotta, è stata Carmela Sciacchitano, 63 anni, siciliana residente a Genova, la mandante dell’assassinio di Astrit Lamaj, colpevole di avere interrotto la relazione sentimentale durata un anno con la donna e di essersene andato prelevando dalla casa della ex gioielli per 100 mila euro. Carmelina, così la chiamavano gli amici, avrebbe chiesto l’autorizzazione dei reggenti mafiosi di Riesi, il suo paese d’origine in provincia di Caltanissetta, a reclutare i sicari siciliani per l’esecuzione. Perché conosce bene i codici criminali di quella terra, con cui si identifica. Tanto che era stata rimproverata e costretta a togliere dal profilo di Facebook la foto di Rosy Abate, la protagonista della fiction (a cui Carmelina si paragonava) nata in una famiglia mafiosa di Palermo, di cui era diventata capo dopo la morte dei fratelli e poi si era trasferita in Liguria.

Carmelina l’avrebbe chiesto prima a Carmelo Arlotta, che si sarebbe rifiutato, poi a Giuseppe Cammarata, che comunque aveva chiamato a collaborare lo stesso Arlotta, il fratello Angelo Arlotta, anche lui residente a Muggiò e il cugino Francesco Serio. Complessivamente sono 8 gli indagati, alcuni soltanto per l’occultamento del cadavere.