Prigioniero in Mauritania, interrogato per la prima volta dopo nove mesi di carcere

Il milanese scrive a Mattarella: «Sono vittima di un pasticcio aziendale» di ENRICO FOVANNA

Cristian Provvisionato, prima e dopo l'immotivata detenzione in Mauritania che perdura

Cristian Provvisionato, prima e dopo l'immotivata detenzione in Mauritania che perdura

Cornaredo, 17 maggio 2016 - Per la prima volta dopo nove mesi di prigionia, è stato interrogato da un giudice in Mauritania il milanese ostaggio del governo islamico. Nulla tuttavia, nonostante l’apparente svolta, sembra ancora dissolvere le nebbie in cui annaspa l’incubo di Cristian Provvisionato, l’operatore alla sicurezza di Cornaredo, recluso dall’agosto 2015 nel posto di polizia di Nouakchott, capitale del Paese.

Nessuna nota ufficiale dalla magistratura mauritana, mentre la Farnesina sta lavorando all’impasse. L’avvocato a Nouakchott della famiglia lombarda avrebbe comunque riferito che l’interrogatorio «è andato bene» e che «il giudice si riserva di esprimersi». Ma nessun cenno sui tempi della sua decisione, né sul fatto che possano rendersi necessarie o meno nuove udienze. E proprio l’esperienza dei marò insegna che nulla è più incerto dei tempi di detenzione e di formulazione delle sentenze, anche per gli italiani prigionieri all’estero (3.300, secondo l’associazione «Prigionieri del Silenzio», che segue il caso).

Surreale la genesi giudiziaria della vicenda. Truffa informatica ai danni dello Stato. Questa l’accusa solo verbale, mai formalizzata in un atto giudiziario. Peccato che Cristian Provvisionato di informatica non sappia nulla. Pochi giorni fa, in una lettera al presidente Mattarella, l’uomo ha ricostruito nei dettagli la trappola in cui è convinto di essere caduto. Mandato in Mauritania in agosto dall’azienda per cui lavorava (nel ramo investigazioni private) per sostituire un italiano che doveva rientrare, si è ritrovato in prigione. Il compito, spiega Cristian, doveva essere quello di fare una dimostrazione di prodotti di una società straniera al Governo mauritano. In realtà, scrive, «sono stato mandato con l’inganno per togliere da una brutta fine l’altro italiano», perché la società straniera aveva probabilmente truffato il Governo mauritano. Ma il paradosso è un altro: «Il Governo locale - dice - si ostina a tenermi in detenzione anche davanti all’evidenza che sono parte lesa come loro in questa vicenda. Un fatto gravissimo: sono l’unico agli arresti mentre tutti i veri responsabili di questa truffa sono liberi».

Tramite i suoi legali, la famiglia di Cristian ha depositato una denuncia contro l’agenzia milanese, per chiarire i contorni della vicenda. La famiglia si è mossa anche sul fronte del sostegno umanitario al suo congiunto, chiedendo la possibilità di avere comunicazioni telefoniche e postali con l’ostaggio più dirette e meno rarefatte. La madre, Doina Coman, e il fratello Maurizio sono andati a trovare il prigioniero. La compagna Alessandra Gullo, sconfortata dai troppi muri di gomma mauritani, medita di partire per il ponte del 2 giugno. L’ultima speranza è il meeting italo-africano di domani, a Roma, in cui dovrebbero incontrarsi faccia a faccia un nostro ministro e uno mauritano. Ma dall’ambasciata mauritana nella capitale dicono di non saperne nulla. Strategie? In mezzo, la vita di un uomo che si sta spegnendo, senza sapere perché.