L'appello per l'ostaggio italiano in Mauritania: "Cristian è sfinito, fate presto"

La fidanzata Alessandra Gullo è appena tornata dalla capitale africana: l'uomo è innocente ed è trattenuto in "garanzia" dopo una truffa subita dal governo locale da alcune società che vendono software-spia

Alessandra Gullo e Cristian Provvisionato pochi giorni fa in Mauritania

Alessandra Gullo e Cristian Provvisionato pochi giorni fa in Mauritania

Cornaredo (Milano), 12 gennaio 2017 - Alessandra non perde il sorriso, perché sa che, insieme alla speranza, alla fine le è rimasto solo quello. Il suo matrimonio con il compagno, Cristian Provvisionato, doveva essere celebrato nell’autunno 2015, a Cornaredo, dove la coppia viveva. Ma tutto è andato in fumo, a causa di un oscuro traffico di cyber-spie, denaro, servizi segreti e intrighi internazionali. Il trappolone nel quale, incolpevole e del tutto ignaro di quel che stava succedendo, è finito proprio Cristian, nell’agosto 2015, quando ha messo piede per la prima volta nella vita in Mauritania, come bodyguard inviato da una società milanese.

Da allora, il giovane è prigioniero, in una caserma dell’antiterrorismo della capitale, Nouakchott. Senza un’accusa specifica, ma come “ostaggio di garanzia“, per una presunta truffa, subita dal governo mauritano ad opera di un pool di società informatiche estere. «Cristian in tutta evidenza non c’entra - racconta sconfortata Alessandra Gullo, che è appena tornata da un viaggio di dieci giorni, trascorso a cavallo del Capodanno, per stare accanto all’uomo che ama - E lo sanno benissimo anche le autorità mauritane. Tanto che ormai anche le guardie e tutto il personale della caserma lo trattano quasi da amico, comunque con grande simpatia. È evidente che tutti hanno compreso alla perfezione cosa è accaduto davvero. Ma il problema ormai, non è più giudiziario. È politico».

La Farnesina, da noi contattata ieri, sostiene che, nonostante lo stallo, si sta facendo tutto il possibile. Intanto, lunedì prossimo la famiglia incontrerà a Roma il sottosegretario Vincenzo Amendola, che in ottobre aveva incontrato a New York i mauritani. Lo stesso premier Gentiloni poco dopo, allora ministro degli Esteri, era stato in loco, ottenendo rassicurazioni dal suo omologo. A inizio novembre una missione italiana si era recata a Nouakchott. Il nodo è palesemente politico, e vediamo perché. La Mauritania sostiene di avere pagato un milione e mezzo di euro al trust di società estere, tra cui una milanese, quella che ha inviato Cristian come bodyguard, in cambio della cessione di tredici sistemi di spionaggio, un software di sicurezza informatica, da usare contro la minaccia terroristica. 

Di fatto dei programmi che infettano pc, smartphone e siti, con un classico trojan, per controllare a distanza i movimenti di persone sospette o considerate ostili. Una prassi, quella del cyber-spionaggio, certo non inusuale (come dimostrano i  recenti arresti di Roma) e praticata ormai un po’ ovunque dagli apparati di intelligence. Di fatto però nell’affaire mauritano qualcosa è andato storto. Il tredicesimo sistema, che doveva far funzionare tutti gli altri, non è mai stato consegnato, quindi il governo locale avrebbe sborsato i soldi a vuoto. Di qui l’arresto del povero e ignaro Cristian, mandato di corsa in loco per sostituire un esperto di informatica, che al posto suo è potuto rientrare. «Anche se Cristian di informatica non sa nulla - precisa Alessandra - Per questo noi abbiamo sporto denuncia anche alla magistratura italiana. Siamo sicuri che lui sia stato utilizzato solo perché era un pesce piccolo, anzi un signor nessuno, che si poteva sacrificare al posto di qualcun altro». Di fatto, le manette sono scattate ai suoi polsi due settimane dopo il suo arrivo e ci sono voluti nove mesi prima che un giudice lo convocasse. Nel frattempo Cristian, diabetico, aveva perso trenta chili ed era caduto in depressione. Ma oltre alla fidanzata, anche il fratello Maurizio e la madre Doina, traduttrice al tribunale, appena possibile avevano preso un volo per non farlo mai sentire solo e dimenticato.  «In quest’ultimo viaggio - racconta Alessandra - l’ho trovato un po’ meglio fisicamente, ha ripreso qualche chilo. Ma il morale a volte è a terra, perché a quest’incubo, nonostante i mille interventi, compreso quello della Mogherini, non si vede una via d’uscita. La Farnesina ha avuto i suoi incontri con le autorità locali, ha ottenuto molte promesse, e ci chiede  di avere pazienza. Nulla però si muove, dopo sedici mesi, e anche noi non ce la facciamo più. Bisogna  agire rapidamente e in modo decisivo. Ci sentiamo a pezzi. Ma a Cristian ho promesso che non molleremo mai».