Prigioniero in Mauritania, madre di Cornaredo a piedi fino a Roma per libertà del figlio

Sempre più intricato il caso kafkiano di Cristian Provvisionato, il bodyguard di Cornaredo detenuto da 19 mesi in Mauritania, benché innocente. Giovedì 13 la famiglia convocata in Regione Lombardia

Uno dei rari sorrisi di Cristian in Mauritania, con la visita della compagna Alessandra

Uno dei rari sorrisi di Cristian in Mauritania, con la visita della compagna Alessandra

Cornaredo (Milano), 12 aprile 2017 - Triplice svolta nel caso kafkiano di Cristian Provvisionato, il bodyguard di Cornaredo detenuto da 19 mesi in Mauritania, benché innocente. L’uomo non è infatti accusato di nulla, ma di fatto trattenuto “come figura di garanzia” dal governo locale, che ritiene di aver subìto una truffa di un milione e mezzo di euro ad opera di un pool di società estere. Con loro, collaborava un’azienda milanese, che aveva inviato Cristian in loco, per sostituire un informatico. Sostituzione non casuale, teorizza la famiglia, «per evitare che venisse arrestato di lì a pochi giorni». Un dettaglio su cui sta indagando la magistratura italiana, peraltro fresca di rogatoria internazionale con i colleghi africani.

La prima novità è che dopo 19 mesi di indagini, peraltro chiuse solo da poche settimane, il giudice mauritano ha deciso a sorpresa di riaprirle, chiedendo alla Corte suprema locale una proroga di sei mesi. La seconda è che Regione Lombardia ha convocato per domani, giovedì 13 aprile alle 15.30 in audizione i genitori di Cristian e il suo avvocato Fabio Schembri, lo stesso che assisté Olindo e Rosa. Un’audizione importante, che segue diverse prese di posizione della Regione, che prelude a una successiva azione di stimolo alla Farnesina, perché affronti con la massima determinazione quello che ormai appare uno stallo diplomatico colossale. La terza novità arriva da Doina Coman, la madre di Cristian: il 20 aprile, ha annunciato, partirà da Siena, attraverso la via Francigena, per raggiungere a piedi il ministero degli Esteri a Roma. Una marcia solitaria e disperata, di oltre 250 chilometri, fino alla Farnesina, per ridestare l’attenzione su questa vicenda, spesso in ombra. Intanto, dalla caserma dell’antiterrorismo della capitale Nouakchott, dove è recluso dall’agosto 2015, anche Cristian lancia un appello disperato al ministro degli Esteri, Angelino Alfano: «Per favore, l’Italia intervenga e faccia sentire la sua voce. Passare due anni da recluso, lontano dai propri cari, e da innocente, quando tutti sanno benissimo chi sono i veri colpevoli di questa vicenda, è inumano. Prego con tutto il cuore l’Italia e il Ministro perché si faccia di tutto per riportarmi presto a casa, dai miei cari, perché si indaghi davvero su quello che è successo».

E quel che è successo si riassume davvero in poche righe. Nell’estate 2015 Cristian era al mare in Liguria con la fidanzata, Alessandra Gullo, con la quale di lì a un paio di mesi avrebbe voluto sposarsi, per costruire finalmente la famiglia che progettavano da anni. In quel pomeriggio del primo agosto il cellulare è squillato e Cristian, ignaro di andare incontro al baratro, ha risposto. Dall’altra parte c’era il titolare di una ditta di investigazioni milanese, per cui Cristian lavorava saltuariamente come bodyguard. «Devi fare subito le valigie e partire per la Mauritania. Un lavoretto semplice, quindici giorni al massimo, dovrai fare una presentazione». «Ma io non so niente di informatica», aveva detto Cristian. «Non ti preoccupare - era stata la replica - devi solo sostituire una persona che deve rientrare, verrai assistito da qualcuno. Portati giacca e cravatta». E Cristian, a cui qualche risparmio avrebbe fatto comodo per le nozze, aveva accettato. Quindici giorni dopo il suo arrivo, nella sorpresa più totale, le manette. Ma cosa c’è dietro l’ira dei mauritani? Il governo mauritano aveva acquistato da tre società straniere un complesso software di spionaggio informatico, fondato su tredici sistemi in grado di infilarsi negli smartphone, nei pc e nei tablet di chiunque, attraverso dei trojan, per captarne ogni genere di informazioni. Un’architettura di cyber-spionaggio sofisticata, di matrice indo-israeliana, il cui funzionamento di basava però sull’installazione completa dei 13 sistemi. L’ultimo, però, non è mai stato consegnato. Ma la Mauritania aveva già pagato tutto. Di qui l’arresto di Cristian, un signor nessuno del tutto a digiuno di competenze tecniche, ma l’ultimo anello della catena tra Nouakchott e i suoi fornitori. «La riapertura delle indagini - commenta la compagna Alessandra Gullo, che lo sente tutti i giorni al telefono - non è una bella notizia. Avevamo la speranza che Cristian tornasse comunque a casa presto. Qui i tempi si dilatano a dismisura e non ce la facciamo più. Non ce la fa più neanche lui, l’ingiustizia è macroscopica. L’Italia ci chiede pazienza da troppo tempo, siamo esausti, bisogna davvero agire. Anche Cristian sta per impazzire».