Bollate, 1 maggio 2014 - «Abbiamo fatto recentemente una statistica sui detenuti usciti dal carcere ormai da qualche anno, che nel periodo di detenzione avevano un lavoro. Su dieci solo due sono recidivi. Credo che sia un dato molto significativo rispetto al danno sociale che invece può causare il detenuto che non fa questo percorso di reinserimento». All’indomani della fuga del detenuto tunisino Ballouti Moncef, non rientrato nel carcere di Bollate dopo un permesso premio, il direttore Massimo Parisi difende l’esperienza positiva dell’istituto di pena.

Il detenuto evaso lavorava da un anno per una ditta di call center. Accusato di omicidio, era arrivato a Bollate nel 2007. Aveva ancora sei anni da scontare, ma la prospettiva già dal 2015 di passare all’affidamento ai servizi sociali. Godeva di «permessi di necessità» per partecipare a eventi culturali e permessi premio in virtù della buona condotta. Nella relazione di sintesi che periodicamente fanno gli educatori sui detenuti non c’erano “note” critiche.

Ora, da giorni, è ricercato in tutta Italia. Lo cercano carabinieri e polizia con posti di blocco stradali. Gli inquirenti avrebbero già ascoltato la moglie, la figlia e alcuni conoscenti dell’evaso. Un fatto grave che tuttavia non mette in discussione la vocazione dell’istituto di pena aperto nel dicembre 2000. Negli anni, infatti, hanno dato risultati positivi i percorsi avviati per consentire ai detenuti di riappropriarsi progressivamente della propria libertà e reinserirsi nella società. A dirlo sono i numeri sulla recidiva: i progetti nel campo della formazione professionale e del reinserimento nel mondo del lavoro, quelli educativi e culturali, hanno ridotto la recidiva nei detenuti bollatesi fino al 16% rispetto a una media nazionale del 67%.

«Noi scommettiamo sulle persone, riponiamo nei detenuti la nostra fiducia, ci assumiano la responsabilità di un percorso di reinserimento e chiediamo responsabilità al detenuto - aggiunge Parisi -. I numeri dei detenuti coinvolti in questi progetti sono molto alti e quindi statisticamente può capitare anche un evento come quello del tunisino».

Ed ecco i numeri del carcere “modello” di Bollate: sette reparti di cui uno femminile, 1.220 detenuti di cui 60 donne, 150 detenuti che lavorano all’esterno del carcere, 277 ammessi a misure alternative come la semilibertà e l’affidamento ordinario, 200 detenuti che nel 2013 hanno avuto permessi premio, 134 che partecipano a corsi di formazione professionale in carcere e 11 tra aziende e cooperative sociale che lavorano in carcere.
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