Renzinotti o Renzusconi? L'enigma a Palazzo Chigi, di cui nessuno viene a capo

Si sprecano le similitudini con i predecessori (compreso se stesso) che sottrassero la fiducia al governo. Ma la domanda principe è un'altra: dove punta?

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Roma, 19 gennaio 2021 - Renzinotti o Renzusconi? Sull'ex premier di Rignano si è scatenata una tempesta social di opposti sentimenti, dopo la decisione di far uscire il suo partito dall'esecutivo, innescando la crisi, ma la domanda, enigma principe e irrisolto, è sempre la stessa: cosa muove il secondo Matteo che toglie una stampella a Conte? Le tesi si sprecano, come i rimandi al passato. Il più ricorrrente, però, non è al precedente dello stesso Renzi, che fece cadere il governo Letta, di fatto sostituendosi al suo ruolo. Scenario oggi peraltro improponibile. E nemmeno all'altro Matteo, il Salvini del post-Papeete. Altra stagione, e non solo per il meteo. Troppo diversi i personaggi e forse anche gli intenti.

Sui social e nei corridoi del Transatlantico I più hanno paragonato piuttosto la scelta del leader di Italia Viva a quella di Bertinotti che, alla terza legge finanziaria, il 21 ottobre '98 tolse la fiducia a Prodi, riuscendo nell'impresa, due volte fallita anche a Berlusconi, di mandarlo a casa. Ma possiamo davvero paragonare la scelta del leader in cashmere, velluto visconti di modrone & pipa, a quella di Renzi? L'impressione è che non sia affatto così. Per capirlo, dovremo ragionare anzitutto sulle conseguenze della sua mossa.

Quando mandò di fatto all'opposizione il centrosinistra, Bertinotti aveva 58 anni e una carriera politica che guardava ormai alla pensione. Rifondazione Comunista non ne trasse benefici elettorali e di fatto rimase fuori da ogni esperienza di governo. Dieci anni dopo, dopo una parentesi in cui veniva corteggiato soprattutto dalle tv come ospite-opinionista, il buon Fausto potè dunque godersi una tranquilla pensione in una delle più belle città del mondo, senza rinunciare del tutto al proprio personaggio e alla sua storia. Nulla di comparabile alla parabola renziana. Il Matteo di Rignano è un ragazzo di 45 anni, peraltro ben portati, che ha appena fondato un movimento politico e la cui ambizione, certo non modesta, appare palese. Non foss'altro che per l'anagrafe, Renzi ha un potenziale futuro politico davanti, che dà l'impressione di voler collocare in uno spazio poc occupato oggi, il centro, dove alla peggio potrebbe sgomitare o allearsi con Forza Italia.

Nemmeno il dopo-Letta sembra consentire similitudini. Allora, oltre a ritrovarsi al timone di Palazzo Chigi, Renzi riuscì a capitalizzare un consenso enorme attorno a un Pd che portò al 41% nelle elezioni europee. Dopo lo scisma dai Dem, il suo partito oggi è dato al 2,6% negli ultimi sondaggi. Perché dunque uscire di fatto dal centrosinistra, dove avrebbe avuto comunque un ruolo, senza avere la possibilità di entrare, di fatto, nel campo opposto, non certo a fianco dei due principali schieramenti sovranisti? Questo resta l'enigma principe, a cui nei prossimi giorni soltanto lui potrebbe dare una spiegazione. Certo, per i comuni mortali, il suo piano resta l'enigma della sfinge.