Referendum flop, vincitori e vinti. E ora cosa succede?

Le ripercussioni su governo, maggioranza e i già delicati equilibri politici di un Paese che si riscopre confuso

Flop alle urne. Il naufragio dei cinque referendum sulla giustizia sta tutto in quel 20,9% degli aventi diritto al voto che è andato alle urne. Solo un italiano su cinque ha votato - la più bassa affluenza di sempre nella storia repubblicana - e ciò non ha consentito di raggiungere il quorum richiesto. Ma chi esce sconfitto o vincente da questo flop elettorale? Sulla carta si tratta di una sconfitta per Lega e Forza Italia che i referendum li hanno promossi e che, insieme a Fratelli d'Italia, questa mattina si sono infatti scagliati contro la scarsa comunicazione, il voto in un giorno solo e il caos ai seggi. Come a Palermo, dove la magistratura dovrà far luce sull'improvvisa defezione di molti presidenti di seggio proprio nella domenica in cui - guarda caso - la squadra di calcio della città si giocava la promozione in serie B. Un deja-vù che ricorda le malattie strategiche di qualche anno fa degli autisti dei bus pubblici di Roma in concomitanza con il Capodanno. Ma soprattutto che ripercussioni avrà questo flop referendario sui già delicati equilibri politici del Paese dove senza più un partito prevalente e con una un'estrema volatilità dell'elettorato è facile attendersi a breve battaglie campali per accaparrarsi i voti di un popolo sempre più disamorato e confuso. 

Cosa può succedere al governo?

E' del tutto evidente che quello attuale è un governo di transizione, dove l'ombrello istituzionale è costituito da Mario Draghi chiamato a guidare il Paese nella ricostruzione post pandemia nel nome di una comune unità di intenti. La caratura internazionale del premier e il suo essere "super-partes" rispetto all'agone politico nazionale sono la precondizione e al tempo stesso il collante dell'esecutivo. Ma non basterà in eterno. I partiti però si sono "turati il naso", per ricordare il grande Montanelli, ma presto o tardi i nodi di una maggioranza non coesa nel profondo verranno al pettine. A cominciare dalla riforma Cartabia, su cui a questo punto qualcuno cercherà delle rivincite. La sensazione è che si andrà sempre di più verso una polarizzazione nelle coalizioni - nel centrodestra con il braccio di ferro Lega-Fratelli d'Italia così come nel centrosinistra (Partito Democratico-Cinque Stelle) - per la necessità di differenziarsi rispetto agli stessi alleati. 

Cosa può succedere al centrodestra? 

Lega e Forza Italia, come si diceva, si sono spesi di più in favore dei quesiti referendari mentre Fratelli d'Italia ha preferito giocare "di rincorsa". Giorgia Meloni è rimasta alla finestra lasciando cavalcare a Matteo Salvini e Silvio Berlusconi la lotta referendaria. La sua battaglia Giorgia Meloni continua a farla fuori dalla maggioranza e, stando anche agli nultimi sondaggi, sembra una strategia che paga all'interno di una coalizione mai così litigiosa e frammentata. In fondo nel centrodestra si sta già combattendo una lotta ad accaparrarsi i voti dell'elettorato moderato con tre orientamenti di fondo: Forza Italia punta su un profilo più istituzionale, nel solco della tradizione governativa del passato; Fratelli d'Italia ha sposato una linea anti-sistema, corente con una posizione netta fuori dalla maggioranza. Più ambigua la posizione della Lega che tracheggia tra due anime, quella "celodurista" d'antan e quella più vicina alle stanze dei bottoni. 

Cosa può succedere nella Lega?

La bocciatura dei quesiti referendari è una bocciatura diretta per il Matteo Salvini, che si è speso in prima persona per il raggiungimento del quorum. In qualche modo ricorda il flop del referendum sulla riforma costituzionale promosso nel 2016  che diede inizio alla parabola discendente di Matteo Renzi. E' del tutto evidente che Salvini potrebbe perdere terreno all'interno del partito: la sua visione di una Lega "di lotta" potrebbe essere superata da una linea più vicina all'establishment impersonata da Giancarlo Giorgetti. Anche questa sarà una sfida che il Caroccio dovrà affrontare prima o poi.

La disaffezione

La più bassa affluenza alle urne della storia repubblicana certifica la disaffezione dell'elettorato. E' un preoccupante campanello d'allarme per la democrazia in Italia, che in questo senso non si discosta dal panorama europeo e mondiale (l'assalto a Capitol Hill è ancora nella memoria). Forso lo strumento referendario va cambiato e adattato ai tempi come ha ricordato Mario Segni: "Se non si riforma il quorum, lo strumento referendario è praticamente morto. Lo dimostra il fatto che l'affluenza per il referendum e' stata bassa anche nei comuni dove si votava per il sindaco, mentre il voto per le amministrative ha tenuto. E' proprio il referendum che non ha attratto". Forse però il naufragio dei cinque refendum è anche la cartina di tornasole della crisi della politica responsabile  perché delegare ai cittadini la scelta di riformare una materia così complessa come la giustizia è la prova "provata" dell'incapacità stessa dei partiti di trovare una sintesi oltre i facili slogan. La chiosa a un quadro d'insieme assai inquietante la regala quanto accaduto a Palermo, dove alcuni seggi hanno aperto con ore di ritardo a causa dell'assenza dei presidenti . Roba da Repubblica delle banane, altro che democrazia.