Referendum quorum Italia dal 1974 al 2022: quando è stato raggiunto. E quando no

La storia dei quesiti abrogativi: in mezzo secolo "persi" 67 punti percentuali fra l'elettorato

Il quorum nella storia del referendum
Il quorum nella storia del referendum

Un flop così non si era mai visto. Ma lo strumento referendum in Italia mostra la corda da parecchio. Nelle ultime nove consultazioni, dal 1999, si è raggiunto il quorum solo in un'occasione. Accadde nel 2011, quando si votò sull'acqua pubblica (tema su cui, per altro, poi il parlamento non si è espresso), sul nucleare e sul legittimo impedimento per le alte cariche dello stato, con un complessivo 54,8%. Un'eccezione in una fila di buchi nell'acqua.

Gli anni '70 e '80

I primi referendum abrogativi - quelli che si propongono di cancellare normative in vigore - risalgono agli anni '70 e si rivelano fra le iniziative politiche predilette in particolare dal Partito radicale. Pannella e i suoi individuano nel ricorso alla consultazione popolare la possibile chiave per introdurre cambiamenti sul fronte dei diritti, quando il parlamento si riveli meno pronto ad accogliere le istanze di progresso avanzate dalla società. In realtà il primo referendum abrogativo viene promosso nel 1974 da uno schieramento formato da forze moderate quando non apertamente conservatrici (Il comitato è appoggiato da Cei, Azione Cattolica e da DC e Msi). Si tratta della consultazione che chiede di abolire la legge Fortuna-Baslini, con la quale era stato introdotto in Italia il divorzio. Si scatena la battaglia: giovani e femministe sono l'avanguardia della fazione che si batte per il No. La vittoria di chi si oppone all'abrogazione è indubbia: quasi il 60% dei votanti dice No all'addio al divorzio. Il quorum viene raggiunto senza problemi: si reca ai seggi l'87,7% degli aventi diritto. Mai più si raggiungerà un livello di partecipazione tale a un referendum abrogativo.

In generale fra anni '70 e '80 nessun referendum ha problemi a raggiungere la fatidica soglia del 50% + 1. Nel 1978 i Radicali promuovono due referendum su tematiche che mobilitano l'opinione pubblica: l'abrogazione della legge Reale, norme che imponenevano una serie di restrizioni di ordine pubblico e l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Quorum raggiunto in scioltezza con il voto dell'81,2% degli italiani e valanga di Sì per entrambi i quesiti. La legge Reale va in soffitta, il finanziamento pubblico ai partiti in forme diverse è, de facto, ancora fra noi. Tre anni dopo, nel 1981, nel pacchetto di cinque refrendum che centrano il quorum con il 79,4% dei voti ci sono due quesiti di segno opposto, riguardanti l'aborto e la legge 194 che ne disciplina il ricorso. Uno, promosso dai Radicali, vuole eliminare alcune norme per rendere più semplice accedere all'interruzione di gravidanza; l'altro, caldeggiato dal Movimento della vita, chiede l'addio a regole della 194 con l'obiettivo di rendere più complicata la scelta di abortire. Vengono bocciati entrambi.

Nel 1985 subisce una pesante sconfitta il Pci che propone il ripristino dei tre punti della cosiddetta "scala mobile" (meccanismo di adeguamento automatico dei salari alle variaizoni dei prezzi) cancellati dal governo Craxi. Il quorum è raggiunto con il 77,9% dei voti degli aventi diritto. Vince il No con oltre il 54%, si rompono definitivamente i rapporti fra Pci e Psi.

Un primo segno di disaffezione, seppur relativo, arriva nel 1987 quando gli italiani si trovano a votare cinque referendum, tre dei quali promossi dai Radicali riguardo il tema energia nucleare, sull'onda delle ansie nate in seguito all'incidente nella centrale di Chernobyl, nell'allora Unione Sovietica (oggi Ucraina). Viene bocciato dalla Corte costituzionale, invece, il referendum che intende porre limitazioni alla caccia. I quesiti sul nucleare ottengono tutti il Sì, condizionati dall'atmosfera di preoccupazione successiva a Chernobyl, rappresentando di fatto uno stop alla costruzione di nuovi impianti nel nostro Paese. Il quorum è raggiunto con il 65,1%.

Gli anni '90 e il primo flop

Due quesiti sulla caccia (oltre a uno sullo stop all'impiego dei fitofarmaci in agricoltura) vengono ammessi invece nel 1990. Stavolta a bocciarli sono gli elettori. I Sì non avrebbero problemi a vincere a mani basse, ma per la prima volta nella storia dei referendum abrogativi non viene raggiunto il quorum. Ci si ferma al 43,2%. E' la prima volta, non sarà l'ultima.

Si tornerà a centrare il quorum l'anno successivo, il 1991, in un referendum che sembra cambiare per sempre la storia della politica italiana. Dei tre referendum proposti da un movimento guidato dall'ex parlamentare Dc Mario Segni, nato per stimolare il passaggio da un sistema elettorale proporzionale a uno maggioritario, ne sopravvive all'esame della Consulta solo uno, quello che chiede di votare la diminuzione dei voti di preferenza alla Camera da tre a uno. La politica italiana si spacca. Il neonato Pds appoggia la campagna referendaria. Il socialista Craxi e il leghista Bossi invitano gli elettori ad "andare al mare". La Dc nicchia. Gli elettori non danno retta all'anomalo asse formato dal leader socialista e dal senatùr: il Sì vince a mani basse con oltre il 95%, il quorum è raggiunto con il 62,5%.

Nel 1993 otto consultazioni promosse dai Radicali passano con un quorum ancora più importante. Si torna a livelli anni '80, dato che va ai seggi il 77% degli aventi diritto. Fra le norme una depenalizzazione di alcune pene riguardanti l'uso personale delle droghe leggere e l'abrogazione di alcune norme che consentono di introdurre il sistema elettorale maggioritario uninominale al Senato (successivamente cancellate da una serie di riforme votate nel corso degli anni dal parlamento).

Nel 1995 c'è il record di quesiti presentati: sono 12. Il quorum è raggiunto con il 57,3% dei voti, ma l'overdose di temi, probabilmente, è uno dei primi sassolini inseriti nella macchina referendaria. Le proposte arrivano da Radicali, Lega Nord, Rifondazione Comunista, Cobas e alcuni comitati, su tematiche anche molto differenti. In cinque casi vince il Sì, in sette il No. Non passa per un soffio la proposta che avrebbe portato all'abolizione del ballottaggio alle elezioni amministrative nei Comuni sopra i 15mila abitanti.

L'epoca degli insuccessi

Nel 1997 il primo fragoroso fiasco: un pacchetto di sette referendum promossi dai Radicali (partito che in quegli anni attraversa una profonda crisi di identità) si ferma al 30,2%: il quorum è lontano quasi 20 punti percentuali. E' l'inizio della fine. Da allora, come detto, solo i referendum del 2011 su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento ottengono il quorum. Nel 1999 manca una manciata di voti perché passi l'abolizione della residuale quota proporzionale del 25% nel sistema elettorale italiano. Va alle urne il 49,6% degli elettori: e chissà se la storia politica italiana non avrebbe potuto essere diversa in caso di quorum ottenuto da quel referendum. 

Subiscono bocciature senza appello i referendum proposti nelle quattro tornate del primo decennio del 2000. Nel 2000 vota il 32,1% degli aventi diritto, nel 2003 il 25,5%, nel 2005 il 25,5%, nel 2009 il 23,5%. Fra i temi che sembrano non smuovere le coscienze degli italiani ci sono la fecondazione assistita, lo stop all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che li tutela dal licenziamento così come la sua estensione e altri possibili aggiornamenti del sistema elettorale. Nel 2011 c'è un cambio di rotta, con il ritorno al quorum (con il 54,8%). E' solo temporaneo. Nel 2016 il referendum sugli idrocarburi si ferma al 31,2%, ieri quelli sulla giustizia toccano il minimo storico con il 20,9%.

La motivazione della disaffezione, probabilmente, più che in uno scarso interesse per certi argomenti sta nella stanchezza per l'uso dello strumento referendario, nell'astrusità di alcuni quesiti e nell'irritazione a fronte di un'inerzia del parlamento nel legiferare su alcuni temi, senza dover chiedere una "mano" alla cittadinanza.