Pavia, peste suina? "Da noi stalle tutte sicure: protocolli rigidi ma utili"

Tra Lombardia e Piemonte 17 chilometri di recinzione per salvare i maiali. Con lo spettro della macellazione: "Che è solo un danno"

Cinghiali

Cinghiali

Pavia - Tra la Valle Staffora, nell’Oltrepò Pavese dove c’è Varzi e il suo salame Dop, e la confinante Val Curone, nell’Alessandrino, sono stati posizionati gli oltre 17 chilometri di barriere artificiali per contenere l’onda epidemica di Psa (peste suina africana) che ha già colpito il Piemonte ma non ancora la Lombardia. Un "lavoro di squadra per scongiurare disastro economico", come sottolineato dall’assessore regionale all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi, Fabio Rolfi, che ha visto impegnati il commissario straordinario alla peste suina africana, Angelo Ferrari, l’Unità operativa Veterinaria della Direzione generale Welfare di Regione Lombardia, la Polizia provinciale di Pavia e l’Atc (Ambito territoriale di caccia) 5 Oltrepò Sud di Varzi "per scongiurare l’arrivo della malattia in Lombardia. Nella nostra regione è infatti allevato il 54% dei suini italiani". Un’iniziativa analoga è stata predisposta anche tra Piemonte e Liguria, dove sono anche state istituite zone rosse arancioni per evitare l’estendersi dell’epidemia. Regione Lombardia ha anche approvato un piano specifico per ridurre il numero dei cinghiali. Piano che prevede una caccia di selezione in tutto il territorio, con la sostituzione della "soglia massima di prelievo" con una "soglia realizzativa minima" che deve arrivare a non meno dell’80% della popolazione stimata. Nel 2021 in provincia di Pavia sono stati abbattuti 1.730 cinghiali (sul totale di 14.130 in Lombardia).

«Non è il caso di fare allarmismo: nei nostri allevamenti la peste suina non può arrivare, perché eventuali cinghiali infetti non possono in nessun modo venire a contatto con i nostri maiali, non è proprio possibile». Angelo Pina, insieme ai fratelli Fabio e Marco, gestisce l’azienda agricola di famiglia a Vidigulfo, iscritta a Coldiretti Pavia, con un allevamento di suini da circa 10mila maiali all’anno, oltre a 400 ettari di campi dove si producono in parte mais per l’allevamento e in parte riso. Da gennaio, quando erano stati registrati i casi di cinghiali morti di peste suina africana nel confinante Piemonte, anche in Lombardia c’è preoccupazione per le possibili ripercussioni, più economiche che sanitarie. 

«Abbiamo ricevuto dall’Ats delle precise prescrizioni - spiega l’allevatore - che in parte già attuavamo, in parte abbiamo attuato perché non sono solo indicazioni ma imposizioni, peraltro nel nostro interesse perché nessuno potrebbe correre un simile rischio d’impresa. E oggi gli allevamenti sono tutti protetti». La peste suina si sta infatti diffondendo tramite i cinghiali, che devono essere quindi tenuti lontani dagli allevamenti di maiali. «Per la trasmissione della malattia - dice ancora Pina - ci deve essere contatto ‘muso-muso’ tra gli animali. E i nostri sono tutti allevamenti chiusi e ben delimitati. Nei nostri capannoni, di ultima generazione, è tutto gestito col computer, anche l’aerazione. E quando entrano i camion abbiamo rigidi protocolli di disinfestazione. A chi ha anche paddock esterni è stato imposto di mettere ulteriori reti di protezione. Sono protocolli di biosicurezza, che rendono i nostri allevamenti blindati». 

Però se si dovesse registrare un focolaio di Psa tra i cinghiali selvatici, nell’arco di 5 chilometri da un allevamento, tutti i maiali, anche sani, andrebbero abbattuti. «È successo in Piemonte - ricorda l’allevatore - ma per regole sbagliate. Io sono propenso all’eradicazione totale, come hanno fatto in Belgio, dove in un anno e mezzo sono riusciti ad eradicare la malattia azzerando completamente la fauna selvatica. Ma negli allevamenti, che sono sicuri, gli abbattimenti sono solo un danno, non solo per gli allevatori».