Pavia, il medico che curò il paziente 1: "Eravamo felici e non ce ne rendevamo conto"

Il professor Raffaele Bruno: "Lo abbiamo guarito con una terapia che oggi è già superata"

Raffaele Bruno, primario all'ospedale di Pavia

Raffaele Bruno, primario all'ospedale di Pavia

Pavia, 20 febbraio 2021 - «Prima eravamo felici e non lo sapevamo. Potevamo uscire, abbracciare le persone. La vita normale è un privilegio". A un anno dalla pandemia, è questo l’insegnamento che il Covid ha lasciato al direttore di malattie infettive del San Matteo, Raffaele Bruno. "Quello che si pensava fosse molto lontano era un virus che avevamo già in casa da molto tempo" ha commentato il professor Bruno, in prima linea nella lotta al Coronavirus. Eppure anche il Policlinico un anno fa si è trovato impreparato davanti a quello che il direttore generale del Policlinico ha definito uno tzunami. "Eravamo medici dell’800 - ha aggiunto lo specialista -, poco informati sulla gestione e il trattamento della malattia".

La conoscenza è maturata sul campo, paziente dopo paziente anche se gli occhi erano tutti puntati su Mattia Maestri, il cosiddetto “paziente uno". "Mattia arrivò al San Matteo alle 6,30 del 22 febbraio 2020, a poche ore dalla diagnosi effettuata la sera del 20 febbraio all’ospedale di Codogno - ha aggiunto il professor Bruno che a fine marzo compirà 55 anni -. Giunse in condizioni molto serie, intubato e in posizione prona. E’ stato ricoverato per 18 giorni prima in Rianimazione e poi nel mio reparto di Malattie infettive. All’epoca personalmente ripetevo spesso ai giornalisti che mi chiedevano come stesse che non era un paziente più importante degli altri, ma mi rendevo conto che, essendo il primo in Europa al quale era stato diagnosticata la malattia, era diventato un simbolo. Nell’immaginario collettivo se fesse guarito lui, tutti avrebbero potuto guarire. Era il simbolo del riscatto di un’intera popolazione nei confronti del Covid". E Mattia è effettivamente guarito. "In alcuni momenti - ha proseguito Raffaele Bruno - ho temuto di perderlo. Le sue condizioni erano molto gravi e noi non avevamo esperienza. Ma non soltanto noi medici del San Matteo, nessun medico del mondo, se non i cinesi avevano esperienza. Siamo riusciti a salvare Mattia con la terapia standard che veniva dalla Cina, abbiamo usato un farmaco piuttosto vecchio che usavamo per l’Hiv. Oggi quella terapia è superata dalle evidenze". E tra Mattia e il professor Bruno, superata la malattia, è nato un rapporto che va oltre la normale relazione tra medico e paziente. Mattia infatti non esita a dire che il professore è il suo nuovo papà.

«La famiglia Maestri - ha continuato l’infettivologo - è stata sfortunata a causa del Covid: il padre si è ammalato e non ce l’ha fatta, la mamma pure ha contratto il virus come la moglie che allora era incinta. Quando Mattia si è svegliato non sapeva dove fosse, non sapeva di trovarsi al San Matteo. I primi giorni non sono stati belli, piano piano si è ripreso e lo abbiamo informato di quanto era accaduto nel frattempo nella sua famiglia e non solo. Oggi tra noi c’è un rapporto d’amicizia, un legame molto forte". Dall’incubo Covid però non siamo ancora usciti e adesso abbiamo anche le varianti. "E’ normale che un virus muti, cerca di sfuggire e di adattarsi all’ospite - ha proseguito il professor Bruno -. L’importante è che non diventi più patogeno. Al momento sulla variante più diffusa, la cosiddetta varante inglese, il vaccino è efficace, sulle altre ci sono tutta una serie di dati da verificare e non mi vorrei preoccupare prima di averli verificati. Se una variante dovesse prevalere sulle altre ne terremo conto".