Omicidio di Garlasco: tramortita, trascinata e poi finita. Ventitré i minuti fatali a Chiara

E' il tempo che Stasi avrebbe impiegato per colpire Chiara con un corpo contundente con spigoli, ritornare a casa e accendere il pc a partire da quando la fidanzata aprì la porta di Gabriele Moroni

Alberto Stasi

Alberto Stasi

Garlasco (Pavia), 18 marzo 2015 - Ventitré minuti per uccidere. Sufficienti per Alberto Stasi, secondo la sentenza della prima Corte d’Assise d’appello di Milano che lo ha condannato a 16 anni di reclusione, per raggiungere l’abitazione della fidanzata Chiara Poggi, ucciderla, rincasare, riprendere, freddamente, la routine quotidiana: 23 minuti da quando, alle 9.12 del 13 agosto del 2007, Chiara disinserisce l’allarme della villetta di via Pascoli alle 9.35, quando Alberto avvia il pc in casa sua. Due chilometri separano le abitazioni. Stasi li copre, presumibilmente in bicicletta, in 6-7 minuti.

L’aggressione a Chiara, osserva nella sua perizia il medico legale Testi, è improvvisa e si consuma in fretta. La ragazza viene immediatamente colpita alla testa con un corpo contundente dotato di spigoli. Il perito si riferisce in particolare alla “gora ematica” alla base della scala che porta al primo piano: perché si formi “è sufficiente un tempo assai breve”.  Dopo avere tramortito la vittima, l’aggressore la trascina verso la porta della cantina. A questo punto, “forse per una sua reazione”, la colpisce nuovamente al capo nello spazio antistante la porta del corridoio. Continua il trascinamento del corpo. Davanti alla porta a libro della cantina, Chiara subisce un altro violento colpo alla testa “come dimostrato sia dall’ampia gora ematica davanti alla porta a libro, che dalla proiezione di piccole gocce di sangue sul pavimento, che dalle macchie sulla stessa porta a libro, che veniva aperta per consentire il ‘lancio’ del corpo giù dalle scale”.  L’assassino ha dimostrato di conoscere bene la casa, si è diretto “senza tentennamenti” verso la porta della cantina “che all’apparenza era come le altre”.  “Le ulteriori operazioni di ripulitura, eliminazione di abiti e scarpe, ricovero del mezzo usato, non devono essere necessariamente collocate in quei 23 minuti complessivi, ben potendo le stesse venire portate a compimento anche successivamente”. Molte pagine delle motivazioni sono dedicate a Stasi “scopritore” del corpo di Chiara. L’ex bocconiano dichiara di essersi accorto del sangue nell’ingresso, di essersi diretto immediatamente nella sala dove ha trovato il televisore acceso, di avere visto che il bagno era vuoto, di non avere notato nulla accanto alla porta di accesso ai garage. Tornato sui suoi passi, ha aperto la porta della cantina e dopo avere disceso uno o due gradini aveva scorto Chiara, ancora vestita con un pigiama rosa. Era fuggito e aveva chiamato il 118. Non aveva atteso l’arrivo dell’ambulanza e si era diretto alla stazione dei carabinieri di Garlasco. Per i giudici milanesi appare “quantomeno strano” che il giovane, in un comprensibile stato di ansia per non avere ricevuto risposta alle sue telefonate e dopo avere notato il sangue e un oggetto rovesciato all’ingresso, e soprattutto dopo avere cercato affannosamente la fidanzata e averla trovata riversa sulle scale, “non si sia precipitato accanto a lei per verificarne le condizioni”. Tanto più che chiama il 118, pensandola viva. Al contrario, Alberto esce velocemente, non dimentica di chiudere il cancello, telefona al 118 solo dopo essere risalito sulla sua Golf, diretto in caserma. Tornato con i carabinieri, non rientra per verificare le condizioni della fidanzata. Dalle posizioni innocentiste (Stasi è stato assolto due volte) vengono mossi alcuni rilievi alla sentenza. La Corte ammette che il movente dell’omicidio rimane “oscuro”. Si parla di un delitto d’impeto, scaturito da un “pregresso” fra vittima e assassino, una “motivazione forte” che ha provocato il raptus omicida. Possibile, si osserva, che Chiara fosse diventata all’improvviso e a sua insaputa (tanto da aprire, fiduciosa, sia il cancello sia la porta di casa al fidanzato assassino) “una presenza pericolosa e scomoda” per Alberto? E come si concilia la tesi dell’aggressione immediata, proditoria, con l’affermazione della sentenza che chi l’ha uccisa si era portato di buon mattino in casa della ragazza “forse per ottenere o fornire spiegazioni verbali?”. Questo presupporrebbe una fase, anche breve, di dialettica, di confronto fra i due protagonisti del dramma di Garlasco. gabriele.moroni@ilgiorno.net