Pavia, il Covid si porta via il dottor Africa: addio a Paolo Marandola

Morto il medico-samaritano che fu amico del dittatore Amin e ispirò Hollywood

Paolo Marandola aveva 82 anni

Paolo Marandola aveva 82 anni

Pavia, 6 agosto 2020 - All’Africa si era profondamente legato e in Africa ha trovato la morte l’urologo di fama internazionale Paolo Marandola. A spegnere la sua curiosità a 82 anni con ogni probabilità è stato il coronavirus contratto nel continente africano. Prima della partenza per lo Zambia a metà luglio, infatti, aveva effettuato tutti i test previsti dal protocollo. Alla fine del mese scorso, però, il professore ha avvertito problemi respiratori che lo hanno costretto al ricovero in una struttura ospedaliera americana dove si è spento.

«Faremo una funzione nello Zambia, lo vogliono il ministro degli interni e delle finanze – ha fatto sapere il figlio Ivan Marandola –. I funerali li terremo, invece, in Italia, nella frazione Cocuruzzo di Rocca d’Evandro, in Campania, di cui era originario". Laureato in medicina a Pavia nel 1963, Paolo Marandola è stato a lungo medico dell’ospedale San Matteo. Co-fondatore di una onlus per la lotta all’Aids attiva in Zambia e Uganda, l’urologo aveva curato e seguito i primi pazienti italiani che volevano cambiare sesso, ma era diventato famoso per aver inventato la pillola che stimolava il piacere femminile. Erano gli inizi degli anni 2000 quando spiegò l’uso di un viagra bio, un cocktail di 12mila piante afrodisiache tratte dall’antica tradizione cinese.

Prima di questi studi, però, era già nato l’amore per l’Africa di cui ha conosciuto tutti i capi di Stato compreso Mandela. E di tutti era diventato medico, ma pure consulente e in alcuni casi pure amico. Una storia talmente avventurosa da diventare un romanzo quella di Marandola. A lui, infatti, si è ispirato Giles Foden per scrivere The last King of Scotland dove si racconta di un giovane medico scozzese Nicholas Garrigan alle prese con il regime sanguinario del dittatore ugandese Idi Amin Dada negli anni tra il 1971 e il 1979, quando morirono più di 300mila persone. Quel medico, però non era scozzese, era italiano e si era laureato a Pavia perché le strade del terribile dittatore e del professore si sono davvero incrociate quando l’urologo che aveva studiato a Londra, negli Usa e in Canada, nel 1972 invece di trasferirsi nel nuovo mondo aveva deciso di andare in Africa come medico volontario a Gulu nel nord dell’Uganda. Da quel momento, nei 15 anni trascorsi spesi tra Uganda, Somalia, Zambia e, infine, Sud Africa, è stato un susseguirsi di frequentazioni anche importanti e di un continuo via vai tra l’Italia e l’Africa.

Dopo una collaborazione con l’università di Makerere, e un posto al Mulago Hospital di Kampala, Marandola aveva deciso di partire per fare il medico in Africa. Fu quella l’occasione per stringere un’alleanza con il leader libico Mu’ammar Gheddafi. Da Amin, che nutriva un profondo interesse per la sanità, aveva ricevuto l’incarico si studiare e risolvere il problema della gonorrea. E tra il professore e il dittatore era nata un’amicizia talmente scomoda da riportare in Italia Marandola, che al Policlinico San Matteo creò il primo laboratorio sperimentale di trapianto di organi. Nel 1995 aveva dato vita alla Fondazione Scarpa-Gaia dedicata, prima agli studi dell’invecchiamento maschile e, poi, alla medicina antinvecchiamento. Professore onorario di urologia all’Università di Pechino e l’Università di Lusaka, dove il governo era l’unico a non essere allineato con il regime ugandese, nella capitale dello Zambia ha fondato ospedali e associazioni. E in Zambia ha pure accolto Bettino Craxi che avrebbe voluto portarlo con sé ad Hammamet, in Tunisia.