Guerra in Ucraina, il cestista dell'Elachem: "Mio papà combatte e non so dove"

Vladyslav Radchenko, giocatore di basket di Vigevano, ha in Patria anche la mamma, un fratellino e le nonne: "Nelle città tutti si danno una mano"

Vladyslav Radchenko, 21 anni

Vladyslav Radchenko, 21 anni

Vigevano (Pavia) - L’Italia è la sua seconda casa. Ma il cuore resta in Ucraina, il suo Paese. Vladyslav Radchenko, 21 anni proprio oggi, veste da questa stagione la maglia della Elachem Vigevano, capolista del campionato di serie B di basket. Proprio lo sport dei canestri lo ha portato via giovanissimo da casa: prima tappa la Liguria, poi la Lombardia. Originario di Kamiams’ke, la città sulle rive del fiume Dnipro, 366 chilometri a sud-est di Kiev, la stessa dove nacque Leonid Breznev, segretario del Partito comunista sovietico dal 1964 al 1982, laggiù Vlady ha tutta la famiglia.

Cosa le raccontano di questi giorni terribili? "Anche se la nostra è una delle zone più tranquille del Paese, c’è ovviamente grande preoccupazione. Mio papà e il mio migliore amico sono nell’esercito, ma non conosciamo la loro posizione perché non è consentito loro rivelarla. Poi ci sono mia mamma, il mio fratellino di 5 anni e le mie nonne. Mi raccontano delle sirene che suonano ogni giorno, anche se al momento non ci sono stati bombardamenti".

Lei è stato casa solo qualche mese fa: com’era allora la situazione in Ucraina? "Sono stato a casa a dicembre; nulla faceva presagire la possibilità dell’apertura di un conflitto. Era tutto assolutamente normale. Per questo quello che è accaduto ci ha sorpresi ancora di più".

Come sta reagendo la popolazione a quello che sta accadendo? "Ogni giorno c’è la prova di un grandissimo attaccamento alla nostra terra. E non è facile: perché la guerra ha di fatto bloccato le attività, come era stato con il Covid. Ad eccezione delle farmacie, dei supermercati e di poche altre attività, non si lavora. Una mia zia ha perso il suo posto per la guerra ed è un problema che si sta diffondendo sempre di più. Ma c’è anche una straordinaria solidarietà".

Cosa le raccontano della quotidianità al tempo dell’invasione? "Mi dicono che chi può sta prodigandosi per gli altri. Un caro amico ha una casa molto grande, dove solo qualche estate fa avevamo organizzato un camp di basket per i bambini, che si fermavano tutto il giorno e si divertivano insieme. Oggi quegli stessi spazi sono diventati un punto di accoglienza: il mio amico dà un riparo e qualcosa da mangiare a chi transita lì, sempre diverse decine di persone ogni giorno, che si fermano il tempo di riposarsi un attimo e di riprendere il cammino verso il confine. Io sto cercando di dare una mano da qui, raccogliendo fondi e materiale. E come fanno migliaia di altri ucraini che vivono all’estero".

Ucraini che hanno mostrato una tenacia che forse gli invasori non si aspettavano... "Certamente no. Sono certo che nessuno si sarebbe aspettato da noi una forza così grande davanti ad una tragedia simile. Ma non potremo andare avanti all’infinito; ecco perché è necessario arrivare prima possibile ad una soluzione del conflitto senza usare più le armi".