Pavia, fotoreporter morto in guerra: "Hanno sparato per uccidere"

Il testimone: "Contro di noi esplose decine di colpi di mortaio"

Padre, madre e sorella di Andy Rocchelli in aula

Padre, madre e sorella di Andy Rocchelli in aula

Pavia, 1 dicembre 2018 – "A sinistra  vedo Andrea supino con gli occhi aperti, c’è sangue ovunque. Davanti a lui, Mironov a pezzi". Il reporter francese William Roguelon ha ricostruito il giorno della morte del fotogiornalista pavese Andrea Rocchelli minuto per minuto nel corso dell’udienza di ieri in tribunale a Pavia, dove si sta celebrando il processo per la morte dell’italiano, in cui è imputato per omicidio il militare ucraino Vitaly Markiv. Il 24 maggio 2014, quando Rocchelli e il collega russo Andrei Mironov furono uccisi a Sloviansk in Ucraina, dove il pavese si trovava per documentare la guerra civile, Roguelon era con loro ed è rimasto gravemente ferito nello stesso attacco.

Roguelon ha raccontato di aver conosciuto Rocchelli e Mironov in hotel e di aver fraternizzato con loro. Erano «consci del pericolo - ha spiegato il teste in francese, assistito dall’interprete - In quel periodo il gioco geopolitico si svolgeva a Sloviansk», città contesa tra filorussi e ucraini. Il 24 maggio era stato bombardato un villaggio fuori città. Roguelon si era unito quindi a Rocchelli e Mironov per andare sul posto, avevano atteso mezz’ora davanti all’hotel mentre Mironov organizzava la logistica per poi partire in taxi. Poco dopo si erano fermati per far le foto a un treno posizionato dai filorussi in modo da impedire l’accesso alla città ai carrarmati. Un civile, sbucato da un capanno, era andato loro incontro spaventato: presto la situazione era degenerata, con una raffica di proiettili nella loro direzione. I giornalisti, il civile e il tassista si erano quindi nascosti in un fosso tra la vegetazione. Ma dopo i proiettili, sono cominciati i colpi di mortaio, indirizzati proprio nel fossato e anche sul loro taxi: «Hanno voluto sopprimere il nostro mezzo di fuga», ha spiegato Roguelon. Un colpo di mortaio particolarmente vicino gli aveva provocato una seria ferita alle gambe: «Ero fisso sulle mie gambe, sono caduti altri due colpi. Ho contato fino a dieci colpi di mortaio, penso ne avremo ricevuti venti o trenta in tutto», ha ricordato.

Ripresosi dallo choc, aveva visto i due colleghi morti poco lontano. Risalito il pendio del fossato, era stato di nuovo preso di mira dai proiettili e non era riuscito a salire in auto, mentre il civile e l’autista ce l’avevano fatta e lo avevano abbandonato solo e ferito. Roguelon si è salvato quando, risalito nuovamente sulla strada, aveva incontrato un gruppo di filorussi e poi un provvidenziale passante che, in auto, lo aveva accompagnato verso la città. Roguelon si era preoccupato di fornire le coordinate Gps con le posizioni di Rocchelli e Mironov ad alcuni colleghi, per organizzare il loro recupero: «Per due anni ho cercato di dimenticare - ha spiegato - Penso siamo stati presi come bersaglio, con volontà di uccidere. Hanno soppresso l’auto e non hanno fatto spari di avvertimento. Hanno voluto ucciderci nel fosso». L’udienza è stata rinviata al 14 dicembre per ulteriori testimonianze.