"Dovevo diventare un kamikaze Adesso mi batto per i diritti umani"

Il 26enne afghano Walimohammad Atai da piccolo giocava con le armi ed è già scampato più volte alla morte. Adesso parla sette lingue e sta per conseguire una seconda laurea: in Scienze politiche a Pavia

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di Manuela Marziani

Non ha avuto un’infanzia, i suoi giocattoli sono state le armi. La sua prospettiva doveva essere quella di farsi esplodere per garantire il paradiso alla sua famiglia. Non è mai andato a scuola, ha conosciuto il carcere, le torture, il lavoro in fabbrica quando aveva 12 anni eppure parla 7 lingue e sta per conseguire la seconda laurea in Scienze politiche all’Università di Pavia. A 26 anni ha vissuto almeno 80 vite l’afghano Walimohammad Atai, è scampato più volte alla morte e ha usato tutte le sue energie per gli altri e per lo studio.

Ha iniziato a occuparsi di diritti umani come faceva suo padre?

"Mio papà era un neurologo abbastanza famoso e un oppositore politico, è morto quando avevo 15 giorni ucciso dai talebani. Avevo 9 anni quando mia mamma mi avrebbe voluto kamikaze. Tutte le madri sacrificano un figlio e io ero l’unico maschio, colui che avrebbe dovuto spianare la strada alla famiglia in paradiso. Sono stato mandato in un campo di addestramento dove c’era uno zio materno comandante talebano. Quando lo zio è morto, ho potuto evitare di farmi esplodere".

Provava del risentimento nei confronti di sua madre?

"Non le ho parlato per molto tempo, ma in realtà lei era cresciuta così, quando io sono scappato provava vergogna perché non ero morto in modo eroico. Però, al funerale di mio zio ho conosciuto mia nonna paterna e ho scoperto che mia mamma mi aveva raccontato molte bugie su mio padre, lei lo aveva denunciato ai talebani. Mi sono trasferito da mia nonna e ho aperto una scuola laica perché l’istruzione è l’unica vera luce. Chi è istruito non obbedisce ai talebani e a chiunque gli chieda di uccidere gli altri".

I talebani le hanno lasciato aprire una scuola?

"Ero sotto tiro. Mi credevano una spia e sono sopravvissuto a un attentato. Sono scappato clandestinamente in Iran e mi sono fatto 7 mesi di carcere. Quindi a 12 anni i trafficanti curdi mi hanno portato in una fabbrica di magliette dove ho lavorato per un anno, poi nascosto sotto un tir sono scappato in Grecia dove sono stato picchiato e ne porto ancora le cicatrici. Non si dica che l’Italia tratta male i profughi, altri Paesi fanno peggio".

In Italia come è arrivato?

"Su un barcone. Sono stato a Lecce. Mi davano 7 euro a settimana con i quali ho acquistato un cellulare e con quello ho studiato l’italiano e mi sono laureato in Scienza della mediazione linguistica, e mi sono dedicato a fare l’interprete e il mediatore interculturale"

Chi ha lasciato nel suo Paese?

"Mia sorella, un chirurgo costretta ora a fare la casalinga e a non vedere il sole. Mia madre quando era bambina l’aveva venduta a un uomo di 34 anni. Ora ha un fidanzato, spero si sposino presto".

Anche per sua sorella ha fondato l’associazione Free Afghan Women Now?

"Sì, sono preoccupato per lei e per i due figli pure loro medici dell’altra moglie di mio padre. Vorrei potessero venire in Italia, ho fatto richiesta, ma non ho ancora ottenuto risposta".

Le manca il suo Paese?

"È un Paese bellissimo, ricco di tutto e conosciuto solo per il terrorismo. Sessant’anni fa era libero e più avanzato dell’Europa. Mi piacerebbe tanto poter tornare per andare sulla tomba di mio padre e dirgli: "Mi volevi medico, non ho realizzato il tuo sogno, ma guarda che cosa sono diventato".