Delitto di Garlasco, sfogo del nuovo indagato: "L’incubo della mia faccia in tv"

L’amico del fratello di Chiara: mai frequentata, ci siamo solo incrociati

Andrea Sempio e Alberto Stasi (Ansa)

Andrea Sempio e Alberto Stasi (Ansa)

Garlasco (Pavia), 5 febbraio 2017 - «L’ho saputo la mattina del 22 o 23 dicembre: ero a casa e a un certo punto abbiamo iniziato a vedere tante persone davanti a casa con telecamere e macchine fotografiche. Dopo poco, il mio cellulare ha iniziato a squillare e i miei amici mi chiedevano: ‘Andrea, cosa sta succedendo?’. Io non sapevo niente. Poi ad un certo punto la mia faccia è comparsa in televisione insieme al mio nome e cognome e da lì... l’incubo». Andrea Sempio racconta a Quarto Grado la mattina allucinante di un giorno prenatalizio quando apprende dall’assedio dei giornalisti e dalla televisione di essere iscritto nel registro degli indagati per l’omicidio di Chiara Poggi, sorella del suo amico Marco. Ventotto anni, di Garlasco, Sempio è con il padre Giuseppe e gli avvocati Federico Soldani, Simone Grassi, Massimo Lovati. «È stata una bella botta, sia per me che per la mia famiglia. Per tre o quattro giorni in casa nessuno ha mangiato e dormito. È stato un Natale molto particolare».

Alberto Stasi è colpevole o innocente, secondo lei? «Quello che so di Alberto Stasi arriva attraverso la televisione e i giornali. Avendola vissuta anch’io, questa vicenda, so che molte cose che vengono dette possono o non essere vere o essere vere e travisate. Finché non lo conosco di persona, su di lui non ho un’opinione». Chiara. «Ci siamo incontrati e ci salutavamo. Non la conoscevo, l’ho incrociata qualche volta in casa. Me la ricordo come una ragazza bella, avvenente». Frequentava casa Poggi un paio di volte a settimana. Con Marco giocavano ai videogiochi, con il pc, lo stesso che usava Chiara, senza mai curiosare al suo interno. Stavano nella stanza della ragazza o in una saletta. Con Marco Poggi è rimasta una grande amicizia. «Marco mi è stato vicinissimo, sia lui che la sua famiglia. Ci vediamo ancora, usciamo insieme regolarmente. Cerchiamo di scherzare su questa vicenda: siamo passati da ‘conosci quella ragazza?’ a ‘conosci quel giornalista?’. Lui mi è stato vicino, mi ha dato forza». La mattina del 13 agosto 2007, quando Chiara viene trucidata. «Sono rimasto a casa fino a poco prima delle 10, stavo aspettando che tornasse mia madre che era andata a fare la spesa e aveva preso l’unica macchina che avevamo in casa. Quando è tornata, ho preso la macchina, sono andato a Vigevano per fare un giro e andare in una libreria che poi, in quel giorno, era chiusa. Ho fatto un giro in piazza e poi sono tornato a casa».

Perché ha conservato per un anno e mezzo lo scontrino del parcheggio, in una custodia trasparente, prima di consegnarlo ai carabinieri? «Quello scontrino è stato trovato nella mia macchina qualche giorno dopo la prima volta che sono stato sentito (il 18 agosto 2007 - ndr). Mia madre mi diede il consiglio di tenerlo, visto che era avvenuto un fatto molto grave che tocca una persona a cui noi siamo vicini». Un po’ insolito ... «Se andiamo a vedere le circostanze, ciò che è accaduto può anche non essere così insolito». Perché il giorno della condanna di Stasi ha pubblicato sul suo profilo Facebook un disegno e una frase tratta dal Piccolo principe, lettura prediletta di Alberto? «È uno dei miei libri preferiti, questa non è altro che una bella immagine, che riprende una delle più famose frasi del libro. Non c’era alcun collegamento con la condanna di Alberto Stasi».  C’è il suo Dna sulle unghie di Chiara, sostiene il genetista della difesa di Stasi. Cosa ci faceva? «Questa è una domanda tecnica, io purtroppo non ho le competenze per rispondere dal punto di vista genetico o investivativo. Una domanda che andrebbe fatta agli esperti». Un punto importante. L’assassino ha lasciato nel bagno l’impronta insanguinata di una scarpa numero 42. Andrea calza il 44. «Sì, già da quando avevo 18 anni... mi ricordo che quando ho fatto la patente indossavo principalmente degli stivaletti e con quelli facevo fatica a guidare. Quindi ho dovuto comprare un paio di scarpe normali e già allora avevo il 44, la patente l’ho fatta a 18 anni». Parla dei messaggi di insulti, offese, minacce che riceve. Rievoca i primi giorni in solitudine. Questo gli fa avvertire una vicinanza con Alberto Stasi. «Da un certo punto di vista posso capire quello che ha passato. Da un punto di vista umano posso dire che siamo vicini».