"Ora basta": la rabbia dei ristoratori pavesi dopo l'annuncio di una nuova chiusura

Dopo l’ennesimo slittamento della riapertura, pronti a marciare per le vie del centro

Edo Verri chiede supporto ai sindaci

Edo Verri chiede supporto ai sindaci

Pavia, 10 gennaio 2021 - Sono pronti a tornare in piazza i ristoratori, i lavoratori dello spettacolo, i gestori di palestre e le partite Iva. Dopo l’annuncio di una nuova chiusura delle attività con la zona arancione che scatterà domani e sarà mantenuta fino al 15, hanno deciso di protestare. Domenica 17 gennaio, al mattino, intendono marciare per le vie del centro di Pavia fino ad arrivare simbolicamente in piazza Guicciardi, dove ha sede la Prefettura che rappresenta il Governo.

"Vorremo che anche i sindaci fossero con noi - chiede Edo Verri, che ha passato una vita nel ristorante di famiglia “Le rubinie del Po“ a Linarolo e oggi, da dipendente, continua ad essere vicino ai suoi clienti e a consigliarli -. Ci piacerebbe offrire in piazza a 300-400 persone un aperitivo che non si può consumare nei ristoranti ormai sul lastrico".

La macchina organizzativa si è messa in moto, ma non tutti i ristoratori sono d’accordo. C’è chi ritiene inutile una manifestazione: "Tanto nessuno ci ascolta. Pensano tutti che siamo i soliti piagnucoloni". Altri, invece, sono preoccupati per il rispetto delle regole che impongono il distanziamento e che nessuno intende trasgredire. "Le perdite subite a causa delle continue aperture e chiusure sono incalcolabili – continua Verri –. La mattina, quando un ristorante apre, ha una quarantina di preparazioni da fare. Pensavamo di poter aprire e ci siamo messi all’opera, invece abbiamo dovuto mettere tutto nell’abbattitore e congelare, in attesa del momento opportuno. E chi cucina pesce? Si alza alle 4 del mattino va a comprarlo, per scoprire alle 14 che non può aprire".

"Non c’è rispetto per il nostro lavoro – insiste Paola Tronconi, titolare di un ristorante fuori città –. Un ristorante si regge sull’organizzazione e noi non possiamo organizzarci perché non sappiamo che cosa accadrà. Tanto più che, se locale in centro città, tra smartworking e chiusure ha perso molto del suo lavoro, per noi che siamo decentrati è il disastro. E di conseguenza tutto il nostro indotto manca, perché non compriamo la verdura dal contadino, come non cambiamo neppure la lampadina non sapendo se avremo i soldi per farlo".

E la preoccupazione è per le sorti del nostro Paese: "I ristori non sono arrivati, la cassa integrazione neppure – prosegue Tronconi –, su 11 mesi ne abbiamo lavorati 5 però non ci consentono di rateizzare le utenze che non usiamo e ci chiedono di pagare le tasse. Lo faremo ratealmente, peccato che senza soldi verranno a mancare i servizi e i primi a subire tagli saranno la sanità e la scuola. Rischiamo il default".