Chignolo Po, pena ridotta in Appello per l'ex assessore: Vignati uccise per gelosia

Nelle motivazioni della sentenza, la Corte esclude la feroce premeditazione. L’ex assessore leghista aveva sparato alla nuca della quarantenne albanese

Lavdije Kruja, freddata con un colpo alla nuca

Lavdije Kruja, freddata con un colpo alla nuca

Chignolo Po (Pavia), 13 dicembre 2020 - La frustrazione , la gelosia e non una feroce premeditazione come fattori scatenanti. Per questi motivi, la corte d’Assise a luglio ha ridotto la condanna in primo grado all’ergastolo per Franco Vignati, 66 anni, ex assessore leghista di Chignolo Po, in carcere per aver ucciso con un colpo di pistola alla nuca il 30 maggio 2016 l’ex fidanzata Ladvije Kruja, conosciuta come Dea, la 40enne badante di origini albanesi, residente a Miradolo Terme. L’imputato, che si è sempre dichiarato innocente, è stato condannato in secondo grado a 25 anni di reclusione per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Lodi, per uccidere Dea l’imputato aveva utilizzato la Beretta 7,65 che deteneva legalmente a casa dell’ex moglie e che si era presentato a ritirare il 23 maggio 2016. All’ex moglie aveva raccontato di dover prendere l’arma per farla vedere a un possibile acquirente. Ma per i giudici dell’appello, che nelle motivazioni ripercorrono il rapporto tra Vignati e Dea, ma anche le ultime ore di entrambi, tracciando i profili psicologici di una relazione tormentata, l’elemento temporale è fondamentale per escludere la premeditazione. L’ultimo litigio tra i due, infatti, prima della morte della donna, risale alla sera del 23 maggio 2016, una settimana prima dell’omicidio, e comunque poche ore dopo che Vignati aveva ritirato la pistola dall’abitazione della ex moglie.

La discussione era stata accesa perché, scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano, “lui era uno spiantato e lei cercava l’uomo facoltoso”. Vignati poi quella notte era andato via di casa. Solo dopo i due, la mattina del 30 maggio 2016, si erano incontrati in un bar di Orio Litta per provare a chiarire, ma la donna non voleva saperne. In questo clima sarebbe avvenuta l’esecuzione a sangue freddo sulle rive del Lambro. Il cadavere era stato poi ritrovato l’8 giugno 2016 incastrato nella grata dell’Isola Serafini, nel Piacentino. "Non è vero - o per meglio dire, non è sostenibile alla luce delle prove raccolte - che l’imputato, dopo il litigio, si sia procurato l’arma con l’intento di uccidere perché le sequenze temporali depongono in senso contrario", scrivono i giudici della corte d’Assise d’Appello di Milano che aggiungono: "Se avesse deciso di eliminare la compagna, avendo addirittura pianificato l’esecuzione per una intera settimana che bisogno avrebbe avuto di chiedere alla moglie proprio di quella pistola e di raccontare a tutti dell’appuntamento preso con Dea?". Per l’avvocato Lino Terranova, che assiste l’imputato Franco Vignati, ci sarebbero anche altri aspetti, soprattutto dell’attività investigativa, che andrebbero analizzati. Per questo ha già presentato ricorso in Cassazione.