Vigevano, camionista morto e gettato in Ticino: l’amico condannato a otto anni

Il pugliese Filippo Incarbone morì dopo una notte di eccessi. Per Mangano il pm voleva 27 anni di carcere, il difensore: "Ricorreremo, deve essere assolto"

Filippo Incarbone

Filippo Incarbone

Vogevano (Pavia), 9 aprile 2022 -  Otto anni di reclusione.E' la condanna che ieri mattina il giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Pavia, Fabio Lambertucci, ha pronunciato nei confronti di Michael Mangano, 32 anni, vigevanese, uno dei due accusati della morte di Filippo Incarbone, l’autotrasportatore pugliese 49enne morto nella notte tra il 4 ed il 5 gennaio dello scorso anno in un appartamento di via Buccella e il cui corpo era stato gettato nelle acque del Ticino e recuperato dopo oltre un mese. L’altro imputato, Gianluca Iacullo, era stato condannato a febbraio con il rito abbreviato alla pena di 6 anni di reclusione. Ma ieri mattina in aula è stata battaglia vera. Mangano avrebbe dovuto comparire a fine maggio davanti alla Corte d’Assise di Milano per rispondere delle accuse di omicidio preterintenzionale aggravato dai futili motivi e occulatamento e distruzione di cadavere, ma il fascicolo è stato rimandato al Gup.

Il pubblico ministero Paolo Mazza al termine della sua requisitoria durata due ore, ha chiesto per Mangano la condanna a 27 anni di reclusione che, per effetto della riduzione prevista dal rito alternativo (l’abbreviato), ha fissato la pena finale in 18 anni. "Una richiesta spropositata considerati gli elementi a disposizione – ha commentato il legale di Mangano, l’avvocato Fabio Santopietro – e soprattutto analizzando le conclusioni della perizia necroscopica con le quali i periti ammettono onestamente di non essere in grado di stabilire l’esatta causa del decesso di Incarbone". Ma il difensore non si ferma qui. "Adesso la Procura non può appellarsi – aggiunge – ma lo farò io: voglio che il mio assistito venga assolto anche dall’accusa di omicidio preterintenzionale".

Filippo Incarbone era morto dopo una notte di eccessi con Mangano e Iacullo, che conosceva e frequentava, nella quale tutti avevano consumato "crack" e bevuto smodatamente. Il suo cuore, hanno poi accertato i periti, era in pessime condizioni e quegli eccessi potrebbero essergli stati fatali. Sin dai primi momenti Gianluca Iacullo aveva puntato l’indice verso l’amico Michael Mangano, accusandolo di aver massacrato di botte Incarbone, per tutti "Pippi", utilizzando anche un martello.

Ma sul corpo della vittima i medici legali non hanno ritrovato segni del terribile pestaggio né quelli che avrebbe dovuto lasciare il martello sul quale, a seguito delle analisi effettuate dai carabinieri del Ris di Parma, non sono state trovate né impronte digitali né tracce di sangue. Mangano dal canto suo ha sempre negato ogni addebito. Sulla scorta anche di questi elementi il Gup aveva derubricato le accuse a carico dei due imputati da omicidio volontario pluriaggravato a omicidio preterintenzionale. Resta invece da fare chiarezza sulle ragioni per le quali i due, quando si sono resi conto che "Pippi" stava male, non hanno allertato i soccorsi e, una volta accertata la sua morte, abbiano deciso di liberarsi del cadavere gettandolo nel Ticino.