Broni, oltre mille morti d’amianto dal 1990 "Chi ha sorvegliato sulla bonifica?"

Dopo il mega sequestro all’ex Fibronit, paura e dubbi rimbalzano tra i parenti delle vittime e sui social

Un capannone ex Fibronit

Un capannone ex Fibronit

Broni (pavia) -  Tante storie drammatiche, quasi tutte concluse da necrologi. Almeno un migliaio dal 1990, ma il numero non è certo né certificato, e poi ci sono le morti registrate in altro modo. Una lunga scia di lutti. Come quello che ricorda Haxhiu, albanese rimasta vedova nel 2014 quando il marito, 59enne, è morto d’amianto, lasciando orfane due bambine di 4 e 12 anni: "È stata riconosciuta la malattia professionale, ma alle mie figlie nessuno può restituire il papà che ha avuto l’unica colpa di lavorare in Fibronit e poi in Cementifera. Noi continuiamo ad abitare a Broni. Non posso abbandonare la casa e tutto quello che, con grandi sacrifici, abbiamo acquistato io e mio marito. Certamente il rammarico per quanto sta accadendo è enorme. Chi ha fatto i controlli sulla bonifica?".

Un dubbio che rimbalza, con sempre maggior frequenza, in queste ore, sui social. Fra troppe vicende di malattia che non perdona e di morti, con casi incredibili che hanno colpito persone mai venute a contatto per lavoro con l’amianto, c’è anche chi invece sta lottando per sconfiggere o almeno neutralizzare il male. Come un ex ruspista di Santa Maria della Versa, malato dal 2018 e, dopo 4 anni, ancora in discrete condizioni. Lo racconta il figlio Giovanni, manager di una multinazionale, che ha deciso di creare anche un sito per condividere questa esperienza: "Mio padre lavorava nel campo delle demolizioni, recuperando macerie di manufatti di amianto particolarmente adatti per fare i fondi dei piazzali. Nel luglio 2018, a 70 anni, gli venne diagnosticato il mesotelioma". Oggi è da ritenersi tra i malati più longevi: "Una ventina di casi con cui siamo venuti a contatto, purtroppo, dopo due anni, sono deceduti".

Il padre di Giovanni che ha subìto, tre anni dopo la diagnosi, anche un intervento chirurgico per asportare una massa tumorale, sta discretamente bene. Merito di una cura sperimentale abbinata a una dieta oncologica e a uno stile di vita più dinamico: "Ogni giorno due ore di tapis roulant e lunghe passeggiate".

Tutto questo con l’attenta supervisione di strutture ospedaliere più che mai qualificate come l’Istituto europeo oncologico prima e il San Matteo e Humanitas poi. "La chemioterapia non gli è servita granché", aggiunge Giovanni. Prima di intraprendere questo nuovo percorso sperimentale, l’alternativa era un cocktail di cure: "Sarebbe costato 21mila euro ogni tre settimane, 70mila per un ciclo completo di tre somministrazioni. Fra l’altro certi farmaci, all’estero, costano meno rispetto all’Italia. In Repubblica Ceca, ad esempio, circa la metà".