Fibronit, chieste due condanne: "Dovevano limitare i rischi"

Battute finali del processo che vede alla sbarra per omicidio colposo tre ex manager della ditta di Broni che produceva manufatti in amianto

Michele Cardinale e Lorenzo Mo

Michele Cardinale e Lorenzo Mo

Pavia, 5 novembre 2016 - Una lunga requisitoria, snocciolata dai tre Pm titolari dell’inchiesta, ha condotto il processo Fibronit alle battute finali. Alla sbarra tre ex manager dello stabilimento bronese dove si producevano manufatti in amianto. Il Pm Giovanni Benelli ha chiesto le condanne per omicidio colposo a cinque anni di reclusione per Michele Cardinale, 74enne ex amministratore delegato e a tre anni di reclusione per Lorenzo Mo, 70enne ex direttore dello stabilimento di Broni, richiedendo invece l’assoluzione per Alvaro Galvani, 68enne ex consigliere. Le richieste di pena formulate sono state calcolate con lo sconto di un terzo previsto dal rito scelto dagli imputati, l’abbreviato. Sospesa per il momento la posizione di Guglielma Capello, 79 anni, attualmente esclusa dal processo per motivi di salute, la sua situazione sarà valutata nuovamente nel dicembre dell’anno prossimo. Cardinale e Mo erano presenti in aula. L’ex amministratore delegato prima che i Pm parlassero ha rilasciato spontanee dichiarazioni: «Sono andato in prepensionamento nel 1993 carico di amarezza e preoccupazione», ha raccontato. Per poi aggiungere: «Sono turbato da tredici anni di procedimenti, ma ho raggiunto il risultato di essere in pace con la mia coscienza».

Cardinale, come rilevato dal Pm Valentina Grosso durante la requisitoria, ha avuto «potere decisionale», ricordanto come l’acquisto di aspiratori e di altre misure di sicurezza riguardino investìmenti che «per forza dovevano essere all’attenzione del cda. Nel 1975 lui dice di essere intervenuto affinché la situazione igienico sanitaria potesse migliorare. Questo dimostra il suo ruolo attivo e operativo, da cui non può non discendere l’obbligo di intervenire». Riguardo a Mo, il Pm ha precisato che come direttore dello stabilimento di Broni ha avuto «competenze specifiche, non si può considerare esonerato della responsabilità autonoma». Galvani è stato consigliere dal 1993 al 1996, per evitare la chiusura dello stabilimento e tentare la riconversione della produzione dall’amianto alle fibre artificiali, prese «contatti con il Ministero dell’Industria e firmò contratti di finanziamento». In conclusione, il Pm Grosso ha rilevato che «chi operava non poteva non conoscere la pericolosità dell’amianto e gli obblighi per evitare la nocività. Testimoni ricordano che si facevano pulizie speciali in occasione delle ispezioni». E a proposito delle testimonianze, il Pm Andrea Zanoncelli ha ricordato in aula 23 casi di morti per mesotelioma: persone che vivevano in prossimità dello stabilimento e si ritrovavano il balcone ricoperto di polvere nociva, lavoratori che in anni a contatto con le fibre hanno sviluppato la malattia.