di Nicoletta Pisanu

Voghera, 16 aprile 2012 - "TUTTO cominciò con la tosse. «Stizzosa, fastidiosa. Il medico gli disse che era un semplice raffreddore. Poi però, alla seconda visita, ha sentito un rumore strano nel polmone. Da quel momento, è stato un calvario».

Adriana Margarito, residente a Broni, in Oltrepo pavese ha perso il marito esattamente sette mesi fa: un mesotelioma, dopo due anni di lotta, lo ha portato via in una giornata d’autunno. Un tumore raro, ma non per chi è entrato in contatto con l’amianto. Non per chi vive a Broni, Portalbera, Stradella e dintorni, l’area più avvelenata dallo stabilimento della Fibronit. Gli orrori della fabbrica della morte si leggono negli occhi delle decine di persone che, ieri mattina, si sono presentati alla piscina di Voghera (il tribunale non aveva abbastanza posto per tutte le vittime) per chiedere di costituirsi parti civili nella prima udienza del processo che vede accusati di omicidio colposo e disastro doloso dieci persone, fra ex amministratori e manager dell’azienda.

LA DITTA, tristemente nota per le centinaia di vittime che il suo nome evoca, dal 1932 al ’94 ha prodotto manufatti in amianto, materiale altamente cancerogeno. Sono ormai 1.900 i morti accertati dalle associazioni delle vittime, con una media di 57 decessi all’anno nel solo Oltrepo. E il picco deve ancora arrivare, gli esperti prevedono infatti un macabro boom tra 2015 e 2017. A Broni quelle fibre velenose sono ovunque. «Mio marito lavorava l’amianto a mani nude. Tornava a casa con la pelle irritata», ripete Margarito. «Mio padre raccontava di sentire la gola secca, di avere l’arsura in bocca – ricorda Emilia Marcella Mingrino, che ha perso entrambi i genitori — Sentiva sempre bisogno di bere acqua. E mamma sbatteva i suoi abiti da lavoro in casa, li lavava. L’amianto ha ucciso anche lei». Sono centinaia le testimonianze simili, di persone che finiranno in aula per raccoltare di come il killer silenzioso si è portato via i loro parenti. «Mio padre era operaio alla Fibronit, è morto per l’amianto. Aveva da tempo problemi respiratori — racconta Alessandro Piaggi, di Broni — L’Asl faceva le visite ai lavoratori, anche le radiografie; sembrava non ci fosse nulla.

Invece ho perso anche amici che non hanno mai messo piede nella fabbrica. A Broni succede. E ora chiediamo giustizia».

SI SONO costituite 250 parti civili, fra cittadini, associazioni ed enti pubblici come Regione Lombardia, Provincia di Pavia e Comune di Broni, oltre a Legambiente e Wwf. Altre si costituiranno nella prossima udienza, il 3 maggio. Fuori dai cancelli della piscina di Voghera, la delegazione dell’Associazione familiari vittime amianto di Casale Monferrato, città piemontese che paga tuttora il suo tributo di vite umane per aver ospitato una fabbrica Eternit. «Con la sentenza del 13 febbraio sono stati condannati a 16 anni il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier, allora ai vertici dell’azienda, per disastro doloso. Noi combattiamo da 30 anni contro l’amianto, siamo qui per esprimere solidarietà alle famiglie pavesi straziate». L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, vuole citare in causa per responsabilità civile Stato e Regione: «Nessuno qui ha mai imposto che le leggi fossero rispettate, vogliamo fare emergere queste responsabilità. Dobbiamo avere giustizia. E il prossimo passo deve essere la bonifica dell’area». Ma «mancano altri 6 milioni di euro», dice l’assessore all’Ambiente del comune di Broni, Mario Fugazza