Pavia, 4 marzo 2012 - L'unica certezza al momento è una condanna a 15 anni e 6 mesi. È la pena inflitta in primo grado a Pier Paolo Brega Massone, ex primario della Clinica Santa Rita. Secondo i giudici, il chirurgo toracico accusato di avere inutilmente operato una novantina di pazienti per ricavarne un profitto personale, è colpevole di falso, truffa e lesioni dolose aggravate. Il caso era scoppiato nel giugno 2008, quando la Santa Rita era stata ribattezzata “clinica degli orrori” e il medico pavese dipinto come un mostro. «E se il mostro fosse innocente?», si domandano ora due giornaliste, Giovanna Baer e Giovanna Cracco, che hanno scritto una controinchiesta sul processo in libreria in concomitanza con l’avvio del processo d’Appello previsto per domani.

«Un’attenta lettura delle carte del processo solleva molti interrogativi — sostengono le giornaliste —. Le consulenze mediche dell’accusa presentano lacune, eppure sono quelle della difesa a essere ritenute “inattendibili”. E il tribunale non ha disposto una perizia super partes». Domani alle 21 nel collegio Santa Caterina, su iniziativa del presidente dell’Ordine dei medici di Pavia Giovanni Belloni, il libro sarà presentato per la prima volta dalle autrici, e dell’avvocato del chirurgo Luigi Fornari. Tra il pubblico ci sarà la moglie del chirurgo, Barbara Magnani, che si divide tra il suo lavoro in ufficio, il ruolo di mamma e quello di moglie che due volte alla settimana va a colloquio con il marito a San Vittore. «È una vicenda kafkiana — dice lei — perché alcuni pazienti di mio marito che si erano presentati con indicazioni chirurgiche poste da altri. Inoltre, per alcuni interventi è stato condannato nel penale e assolto nel civile». Altro sull’aspetto giudiziario Barbara non racconta. Parla di sé e del marito come di una «coppia normale, che si era conosciuta all’università e sposata 14 anni fa per andare a vivere nella casa lasciata dai genitori di lei e trascorrere le vacanze nella casa acquistata dai genitori di lui».

«La chirurgia era la sua passione di mio marito — ripete — e i migliori chirurghi sono dalla sua parte, come alcuni pazienti, mentre non biasimo gli altri che hanno ricevuto l’invito a costituirsi parte civile nel processo e hanno accettato di farlo». Oggi Barbara Magnani vive con il suo stipendio da dipendente pubblico «ma nella disgrazia ho trovato tanti aiuti. I miei genitori mi aiutano, mentre avvocati e consulenti hanno letto la documentazione e accettato di difendere mio marito senza presentarmi ancora una parcella che non potrei pagare. Intanto lui in carcere lavora alla sua difesa con forte convinzione: prima o poi la verità verrà a galla».
manuela.marziani@ilgiorno.net