«Abbiamo sbagliato a confessare» Olindo e Rosa, l’ultima battaglia

Carcere di Opera, l’ex netturbino all’ergastolo dopo la sentenza definitiva della Cassazione punta alla revisione: speriamo di uscirne di Gabriele Moroni

I coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati all’ergastolo

I coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati all’ergastolo

Erba, 28 giugno 2015 - La voce di Olindo Romano dal carcere di Opera. Appesa alla speranza che il lavoro dei difensori riesca a riannodare il filo esilissimo che conduce alla revisione e un nuovo processo. Le sentenze sono state inequivocabili, grevi come macigni. La condanna all’ergastolo è stata resa definitiva dal pronunciamento della Cassazione: l’ex netturbino e la moglie Rosa Bazzi sono i carnefici della strage di Erba, la notte degli orrori dell’11 dicembre del 2006, quando, in un condominio di via Diaz grande come un falansterio, vennero trucidati Raffaella Castagna, il suo bambino Youssef, di due anni, la madre Paola Galli, la vicina Valeria Cherubini, mentre il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, si salvò solo perché una malformazione della carotide deviò il coltello dell’assassino che gli trapassava la gola.

Signor Romano, spera nella revisione? «La nostra difesa sta lavorando bene alla revisione del processo. Certamente, dopo tutto speriamo che si giunga a rimediare all’errore giudiziario fatto nei nostri confronti».

Tutti si chiedono perché, dopo avere confessato, avete ritrattato. Perché? «Ho ritrattato semplicemente perché non avendo detto la verità, ho deciso di dirla. Cioè che non eravamo noi gli autori della strage. Inizialmente, sbagliando, ho pensato che fosse il minore dei mali (confessare - ndr), visto il quadro che ci era stato prospettato. La stessa cosa ha pensato Rosa e siamo finiti nei guai».

Come vive oggi? Come trascorre le sue giornate? «Oggi vivo male, guardando avanti, in attesa che le cose cambino. Intanto passo tre ore come giardiniere, un’ora all’aria, due nell’orto, un’altra in saletta a giocare a carte. Dopo cena qualche lavoretto domestico, la corrispondenza ed è passata la giornata».

Tempo fa i giornali hanno pubblicato che ha ideato una particolare scacchiera per il gioco della dama «Dama da una parte e scacchiera dall’altra, ideata quando non avevo niente da fare. Ci si può giocare in due, tre e in quattro. Per un po’ ci giocavo da solo, poi l’ho messa nel cassetto».

Sua moglie. Vivevate in assoluta simbiosi. Come sono, oggi, i vostri colloqui? «I nostri colloqui, tre ogni mese, sempre al venerdì, punto di riferimento in attesa che ci mettano nello stesso “collegio“, se non altro».

Cosa vorrebbe dire alla famiglia Castagna? Carlo Castagna, padre, marito e nonno di tre delle vittime, ha espresso il desiderio di incontrarvi per quello che dovrebbe essere un momento di raccoglimento. «Al signor Castagna non saprei cosa dire, visto che ci ritiene responsabili della perdita dei suoi familiari. Senza essere polemico, trovo strana questa sua insistenza nel volere venire a trovarci, come il fatto, diciamo così, di pubblicizzare il suo perdono. Penso che i momenti di raccoglimento devono essere personali e privati, come il perdono che si raggiunge non nell’immediatezza, ma con il tempo».

Azouz Marzouk, il tunisino marito di Raffaella Castagna e padre di Youssef, si è schierato in vostra difesa. Questo l’ha stupita? Le ha fatto piacere? «Azouz non mi ha stupito, mi ha fatto piacere. Penso che già da molto tempo aveva capito che non c’entravamo, arrivando poi alla conclusione che conosciamo».

Riesce a vedere un futuro davanti a sé? «Un futuro lo vedo, come sarà non posso saperlo. Questo grazie alle tante persone che ci sono vicine e ci aiutano. Li ringraziamo tutti di cuore. Concludendo, nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre che purtroppo ti vengono a cercare. Speriamo in bene».

gabriele.moroni@ilgiorno.net