Violenza ostetrica: dopo le denunce si passi alle soluzioni. Ma il governo è in silenzio

I casi di violenza ai danni di donne, mamme e partorienti sono entrati nel dibattito pubblico. Ma nessuno parla di soluzioni. Il dibattito pubblico è fermo, anche a livello governativo.

Elisa Serafini

Elisa Serafini

Migliaia di testimonianze di violenza ostetrica, definita come la violenza verbale e fisica vissuta dalle donne in fase di parto, hanno raggiunto decine di redazioni in tutta Italia. Sui social network migliaia di donne hanno raccontato le proprie vicende, donne lasciate sole in ospedale per giorni senza assistenza al neonato, donne insultate perché decidevano di non allattare, donne denigrate per aver dovuto fare un parto cesareo, parti cesarei negati, anestesie negate. Se non si ha la fortuna di poter contare su una rete familiare di assistenza, e su un certo patrimonio, l’esperienza della maternità, prima, dopo e durante, può diventare traumatica per una donna in Italia.

Il calvario per avere un figlio

Si inizia con la violenza di chi desidera figli e non riesce o può averne: le leggi attuali rendono difficilissima la possibilità di usufruire del sistema pubblico. Molti limiti, pochi donatori e donatrici, poiché è vietato pagarli e, in alcune regioni, come la Liguria, non sono ancora stati approvati i percorsi per i rimborsi degli esami pre-donazione. Così iniziano le prime disparità di trattamento: chi può permettersi un certo investimento, va all’estero: Belgio, Spagna, Grecia, Regno Unito. Per tutti gli altri resta la strada incerta del servizio pubblico.

L'incognita parto

La fase del parto è un’ulteriore incognita per molte donne: i parti cesarei sono limitati a discrezione di medici che approvino la procedura su ogni singolo caso, e non risultano essere una libera scelta della donna (nonostante in molti paesi sia invece così). Di fatto alle donne è negato il diritto a decidere come partorire. Ragioni di costi pubblici, è vero, ma tutto ha un costo: anche il benessere e la libertà di una donna. Su questo spinoso tema si scontrano medici, donne e policy-makers, ma mai alla luce del sole. Il tema non è neanche mai entrato, davvero, nel dibattito pubblico, e forse oggi potrebbe essere opportuno farlo, per considerare e misurare vantaggi, svantaggi, costi e benefici di eventuali modifiche alla normativa.

La gestione del post-parto

Infine, c’è la gestione del post-parto, dove si è consumata la tragedia della mamma di Roma, che ha accidentalmente ucciso il proprio bambino schiacciandolo durante un colpo di sonno. In un contesto in cui quotidianamente vengono minate la libertà e la dignità di migliaia di donne, il Governo Meloni, guidato da una donna, non sembra aver dato segno di interesse verso la questione. Non è corretto legiferare (solo) a seguito di fatti di cronaca, ma visto che questa è l’abitudine del Paese (vedi ad esempio il “Decreto rave”), tanto vale farlo quando le vicende riguardano la salute, il benessere e la sicurezza di migliaia di donne.

L'ultimo tabù

Il tema ha avuto tanto impatto mediatico quanto (poco) effetto politico: parlare della libertà di come gestire una gravidanza è un tabù troppo grande, specialmente quando all’interno del Parlamento esistono figure che contestano la legge sull’aborto. Infine, esiste il problema dell’accountability: una donna che ha subito una violenza (fisica o verbale) in ospedale, può denunciare alla ASL competente, ma non esistono procedure automatizzate per misurare la qualità dei servizi. Le donne, in Italia, senza i necessari interventi legislativi, saranno costrette a continuare a recarsi all’estero per poter vedere garantiti i propri diritti di pazienti, di madri, di individui liberi e senzienti. Con il silenzio del primo governo guidato da una donna in Italia.