Villasanta, 12 agosto 2013 - Dieci anni non sono passati per niente. A Copenaghen ancora ricordano quanto successo fra l’8 e il 10 aprile del 2003 ad un ragazzo di 19 anni di Villasanta, Antonio Currà, che di lì era passato come tanti suoi coetanei inseguendo un sogno: visitare l’Europa in inter-rail e raggiungere Capo Nord. E che sceso dal treno in un quartiere malfamato della capitale danese era stato aggredito e brutalmente ammazzato a coltellate per rapinargli 20 euro da due ragazzini più giovani di lui, due cugini turchi di 17 e 16 anni.
A dieci anni di distanza, molte cose sono cambiate. La Danimarca ha scoperto sulla sua pelle di non essere più un’isola felice, i due ragazzini turchi li ha catturati, processati e rispediti in Turchia, con una sentenza che aveva fatto molto discutere visto che i due giovani erano nati e cresciuti in Danimarca.
E ha approvato una legge a cui ha dato il nome proprio di Currà e che oggi impedisce di girare armati di coltello per strada. Dall’inizio dell’anno fino all’agosto del 2003, solo a Copenaghen c’erano stati 155 accoltellamenti, i cui protagonisti spesso erano giovanissimi. Oggi le cose stanno cambiando.
«A qualcosa la morte di mio figlio Antonio è servita» sospira Francesco Currà, il padre del ragazzo, che proprio il 10 agosto per l’anniversario della morte di Antonio è tornato a Copenaghen, dopo aver percorso 1.433 chilometri in camper con la sua famiglia, per una cerimonia di commemorazione densa di significati. All’indomani della morte di Antonio, studente-penettiere dal cuore buono, capace dopo una notte di lavoro nel forno paterno di andare a portare pane caldo a un barbone sdentato che dormiva all’addiaccio poco vicino, le parole pronunciate fra le lacrime da suo padre si erano guadagnate un’enorme platea.
La città era sconvolta da ondate di rabbia che colpivano soprattutto gli stranieri in un quartiere difficile, Norrebro, che era stato ribattezzato Norrebronx. Alcuni sfilavano con striscioni che scandivano slogan come «Via i bastardi immigrati da Copenaghen». Ma papà Francesco, in un inglese smozzicato, aveva preso la parola dando una lezione morale a un intero Paese: «No al razzismo, fra i turchi ci sono tante brave persone... non perdono gli assassini di mio figlio ma la colpa è individuale».
E aveva ricordato «Sono stato immigrato anch’io, i genitori dei miei compagni di scuola dicevano di non giocare con me perché venivo dal Sud. Non deve andare così: tutte le persone in tutto il mondo sono uguali». Sabato mattina la famiglia Currà (padre, madre, un cugino e consorte, la zia Assunta) si è ritrovata in Blågårdsgade, dove Antonio fu raggiunto dalle 8 coltellate che di lì a qualche ora lo avrebbero ucciso: «Sono arrivate una trentina di persone, non credevo che passato tanto tempo ci fosse ancora chi ricordava Antonio - racconta commosso il papà -: don Fabrizio, il parroco cattolico del quartiere, ha dato la sua benedizione. Ora la legge Currà vieta di andare in giro col coltello... Forse un segno è rimasto, forse mio figlio ha cambiato un po’ di Danimarca».
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