Milano, 30 marzo 2012 - Dopo 5 ore in Camera di Consiglio i giudici della Corte d'Assise di Milano hanno deciso per 6 ergastoli per l'omicidio di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia sequestrata, torturata, uccisa, sciolta nell'acido tra il 24 e il 25 novembre 2009 e ritrovata in un campo a San Fruttuoso (Monza).

I giudici della Prima Corte d'Assise hanno poi condannato l'ex compagno di Lea, Carlo Cosco, e Vito Cosco a 2 anni di isolamento diurno, mentre Giuseppe Cosco, Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino ad un anno di isolamento diurno.

I sei imputati sono anche stati condannati a risarcire la figlia ventenne della donna, Denise, testimone chiave dell'accusa, la madre - Santina Miletta - e la sorella - Marisa - della Garofalo. Alla figlia andranno 200mila euro di provvisionale, alle altre due 50mila euro ciascuna. Risarcimento anche per il Comune di Milano, parte civile nel dibattimento: a Palazzo Marino andranno 25mila euro.

Inoltre la corte ha deciso che il dispositivo della sentenza dovrà essere pubblicato sull'albo del Comune e sul sito del ministero della Giustizia. I sei uomini hanno perso la podestà genitoriale sui propri figli.

 

LA RICOSTRUZIONE - Secondo l'accusa, Lea Garofalo sarebbe stata sequestrata il 24 novembre 2009 a Milano e uccisa il giorno successivo e poi il corpo sarebbe stato sciolto in 50 litri di acido in un magazzino nell'hinterland tra Milano e Monza. Le ultime immagini della donna in vita, filmate dalle telecamere, la vedono salire sulla macchina di Carlo Cosco in zona Arco della Pace.

La donna, che aveva raccontato agli inquirenti negli anni fatti di una faida di 'ndrangheta, è stata uccisa, secondo quanto ricostruito dal pm, in particolare per quanto sapeva su un omicidio avvenuto nel '95.

 

LE PAROLE DEGLI IMPUTATI - Carlo Cosco ha voluto replicare al pm Marcello Tatangelo che durante la requisitoria aveva parlato di "gesto vigliacco": "Io ho la terza media, il pm è un dottore e laureato, ha ragione a dire che sei uomini che uccidono una donna sono vigliacchi. Lo farei anch'io se l'avessimo uccisa, ma noi non siamo vigliacchi perchè non l'abbiamo uccisa. Se avessi avuto la sciagurata idea di uccidere la mia ex compagna, non mi sarei servito di cinque persone".

LA PLATEA - Basilio Rizzo, presidente del Consiglio Comunale di Milano, Don Ciotta, presidente della storica associazione antimafia Libera, e Nando Dalla Chiesa, figlio di Carlo Alberto, ucciso dalla mafia, erano in aula al momento della sentenza. Presente anche Denise che ha ascoltato le parole dei giudici dal fondo dell'aula.

LE REAZIONI - Parole dolci di Don Ciotta per Denise, simbolo del coraggio e faro di speranza per un futuro diverso nella lotta alle mafie: "Dobbiamo inchinarci davanti a una ragazza giovane che ha saputo trovare il coraggio di spezzare i cerchi mafiosi. L'ha fatto per sua madre, per dare giustizia a sua madre".

L'avvocato Roberto D'Ippolito, legale di parte civile della mamma e della sorella della giovane collaboratrice di giustizia uccisa: "L'atrocita' e la tragedia della morte di Lea Garofalo ha trovato giustizia. La Corte ha dimostrato di aver capito la gravità di questo crimine. Probabilmente per Milano l'omicidio di Lea Garofalo è stato il primo caso di lupara bianca, ma Milano ha dimostrato di essere una grande città di civiltà e di diritto".