"I giocatori spalavano e io li dovevo sfamare. Monza, dopo tante pene sei rinato"

Fulvio Pea, allenatore dell’eroica salvezza nell’anno dell’ultimo fallimento, ricorda: "Diventammo uomini, per fortuna ora c’è Berlusconi"

Fulvio Pea

Fulvio Pea

Monza, 25 settembre 2020 - In questi giorni era fissata la ripartenza per la sua nuova “casa”, la Cina, dove lavora come direttore tecnico del settore giovanile del Jiangsu Suning, la squadra del presidente dell’Inter. E lui all’Inter aveva mosso i primi passi, con successo, diversi anni prima, visto che lì era diventato allenatore professionista. Fra l’altro uno di quelli più promettenti vincendo fra le altre cose un campionato con la Primavera della Sampdoria e il Trofeo di Viareggio con l’Inter, apprezzatissimo da Gigi Simoni prima e Josè Mourinho poi.

Oggi, però, almeno per un po’, Fulvio Pea da Savona ha cambiato prospettive. E ha accettato di andare dall’altra parte del Mondo per occuparsi non di una squadra, ma di un intero settore giovanile. Eppure, a Monza, non si può non ricordare quella che è stata probabilmente una delle più significative e difficili pagine sportive del suo recente passato: l’incredibile salvezza ottenuta allenando una delle squadre più derelitte della storia. Un’avventura epica, terminata però con un clamoroso fallimento (il secondo) e la discesa negli Inferi del Dilettantismo. Riavvolgiamo il nastro. Stagione 2014-2015. Fulvio Pea viene convinto a scendere in serie C dal pifferaio e truffatore Anthony Emery Armstrong, uno semisconosciuto imprenditore anglo-brasiliano che aveva acquistato il Monza (per un euro!) a una festa di Capodanno dall’ex calciatore milanista Clarence Seedorf. "Armstrong mi diede appuntamento a Montecarlo e mi convinse che voleva fare qualcosa di grande. Mi offrì parecchi soldi e costruì una squadra molto ambiziosa… anche se già quel giorno qualcosa si doveva capire".

Armstrong non pagò nemmeno il conto al bar. "Eppure veniva da una stagione a Monza nella quale aveva pagato tutti gli stipendi, anzi d’estate aveva mandato i giocatori in vacanza pagando perfino un premio per il campionato appena finito…". A Monza arrivò in pompa magna, in Ferrari: peccato che – come si scoprì dopo – quell’auto non era sua, ma presa a noleggio… "Eppure credo che non si sia arricchito con il Monza… forse ci credeva davvero, solo che il giocattolo gli si ruppe fra le mani". E si scoprì che era un truffatore: fuggì a Dubai. "Pagò solo mezzo stipendio, e già da settembre non lo si vide più a Monzello". Cominciarono i mesi più incredibili della carriera di Fulvio Pea. "La squadra era forte e lottò per i vertici fino a dicembre, speravamo che in virtù dei notri risultati e del blasone qualche imprenditore si facesse avanti per rilevare la società…". Non andò così. "E i giocatori decisero comprensibilmente di mettere in mora la società e rescindere il contratto. A gennaio mi ritrovai con soli 3 giocatori: il secondo portiere, un difensore e il centravanti Omar Torri. E i ragazzini della squadra Berretti". Fra quei ragazzini c’era anche un certo Matteo Pessina, oggi fra i più promettenti prospetti della serie A. "Un ragazzo eccezionale. Avevamo programmato il suo inserimento già a luglio, la sua famiglia fu bravissima a fidarsi e a sostenerlo". Con quello che successe, si trovò proiettato in prima squadra in pianta stabile. "E dimostrò grandi capacità tecniche e soprattutto personalità e forza caratteriale nonostante la giovanissima età (aveva 17 anni, ndr ). Fece subito sentire tutto il suo valore. "Ricordo che nei playout col Pordenone decise di andare a tirare un calcio di rigore anche se non era il nostro rigorista: e con grande freddezza fece gol" (fece altri 2 gol al Pordenone in quel playout, contribuendo in maniera decisiva alla salvezza dei biancorossi, ndr ). In quel Monza, Pea si ritrovò ad allenare oltre 70 giocatori. "Ebbi di fatto tre squadre: la prima, che a dicembre decise di andarsene. Un secondo gruppo con i ragazzi della Berretti. E poi a tempo record vennero ingaggiati 25 giocatori nuovi. Raccattati a volte fra atleti ormai usciti dal calcio. "Molti non giocavano addirittura da anni. Ci allenava di fatto durante le partite, molti giocatori non reggevano all’inizio più di 30 minuti. Ma alla fine ci siamo divertiti: e abbiamo giocato anche un grande calcio nelle ultime sei partite". Mancava tutto. "Ricordo che i 25 nuovi giocatori furono ingaggiati di venerdì e il giorno dopo, era inverno, eravamo tutti insieme a Monzello a spalare la neve". Non c’era nemmeno da mangiare, qualcosa lo offriva una pizzeria. "Spesso prima delle partite eravamo noi dello staff a comprare da mangiare e a servirlo a tavola. Lo staff tecnico – ricordo ad esempio il direttore sportivo Gianni Califano e il direttore tecnico Alfredo Pasini – fu eccezionale. E ricorderò sempre i tifosi: gli ultras si autotassarono per pagarci una trasferta a Pordenone. Sembra strano, ma dal punto di vista emotivo fu un’esperienza fantastica, esaltante, siamo diventati squadra anche per quello che abbiamo vissuto". Poi venne ugualmente il fallimento... quasi una beffa "E pensare che io stesso, dato che avrei dovuto percepire un ingaggio importante, avevo subito rescisso al termine del campionato per non pesare sull’eventuale nuova proprietà. Non basta essere dei professionisti, l’importante è essere uomini". Ora tutto è cambiato, ci sono Berlusconi e Galliani. "E sono davvero contento per i tifosi del Monza, con tutto quello che hanno sofferto meritano di sognare. Mi piacerebbe un giorno tornare come spettatore a rivedere quei luoghi". Stanno cambiando anche quelli, la nuova dirigenza sta trasformando anche lo stadio. "Finalmente si respira aria buona". Nutre mai rimpianti per a piega che prese la sua carriera? Era considerato un allenatore in ascesa e si ritrovò al posto sbagliato nel momento sbagliato... "Nessun rimpianto, ho trasformato il mio hobby nel mio lavoro, sono fortunato e Monza resterà sempre nel mio cuore". Anche Fulvio Pea lo è tuttora in quello di tifosi e appassionati monzesi: non l’hanno mai dimenticata. "Davvero? Mi fa davvero un immenso piacere…".