Felice Colombo: "Il mio calcio non c'è più"

Intervista allo storico ex presidente del Milan, dai successi al Totonero alla rinascita

Felice Colombo, 80 anni, imprenditore

Felice Colombo, 80 anni, imprenditore

Usmate Velate (Monza Brianza), 21 gennaio 2018 - Usmate Velate, Cascina Cazzù, un campo da golf da 18 buche. A Camuzzago di Bellusco un altro campo, da 9. E poi ci sono le case. Le aziende. A cominciare dallo zinco. Con la Co.Ge.Fin, assieme ai fratelli, ha costruito un piccolo impero. E del calcio ha scritto, fra alti e bassi, un pezzo di storia.  E anche se oggi Felice Colombo ha 80 anni, per chi lo incontra, magari in in uno dei suoi campi da golf, lui è sempre “il presidente”.

Parliamo di pallone? "Sono sempre stato nel calcio, prima col Bellusco, la squadra del mio paese. Poi alla Vimercatese, al Monza dove ero vice del grande Cappelletti quando sfiorammo la A...». Colombo mastica calcio. Quando al Monza sente parlare di un ragazzino promettente che si chiama Daniele Massaro, va a vederlo all’oratorio e decide di prenderlo... «anche se incredibilmente proprio quel giorno lo trovammo che giocava in porta! Ce lo avevano messo perché il portiere titolare era infortunato e lui era il più alto. Era universale". La sua storia è però legata al Milan... come ci arrivò? "Mi chiamò come suo vice il neo presidente Vittorio Duina, gli occorreva qualcuno che sapesse di calcio... e quando l’anno dopo se ne andò mi ritrovai a fare il presidente". Anni belli? "Inizio galvanizzante. Conquistammo subito la Coppa Italia e ci invitarono a Madrid per un torneo con le migliori d’Europa: e lo vincemmo!". Era un calcio diverso... "Mi ritrovai un Milan con molti debiti ma sono orgoglioso perché in pochi anni riuscii a lasciarlo coi conti in ordine. Nonostante all’epoca non esistessero introiti come quelli assicurati oggi dai diritti televisivi o dallo sponsor sulla maglietta, il guadagno veniva solo dall’incasso dello stadio. Era bello fare il presidente ma sacrificavo troppo tempo della mia vita, e del mio lavoro: avevo gli uffici della mia azienda in piazza della Repubblica vicino a quelli del Milan e fra una riunione e l’altra rincasavo di notte". Si prese subito soddisfazioni anche sul mercato. "Strappammo Novellino all’Inter di Fraizzoli: lui era convinto di averlo già preso, diceva a tutti che era nel suo frigorifero. E glielo soffiai per un miliardo e 800 milioni. All’epoca, il mercato lo facevano davvero i presidenti e i direttori sportivi". Poi lo scudetto della stella. "E avremmo potuto vincerlo già al mio primo anno, tutta colpa di qualche rigore sbagliato di troppo. Comunque, fu l’apoteosi. Poi in quella squadra avevo portato quattro ragazzi proprio dal Monza: Buriani, De Vecchi, Antonelli e Tosetto". Ebbe a che fare anche con grandi allenatori: portò al Milan un certo Nils Liedholm. "Uno psicologo, capace di conquistare i giocatori con aneddoti così assurdi che a volte scoppiava lui stesso a ridere prima di terminarli". Tipo? "Come la storia di quella volta che con un tiro da 30 metri colpì la traversa così forte che la palla gli tornò fra i piedi: e lui la calciò di nuovo al volo facendo gol!". Era attaccato ai soldi... "(ride) e non faceva nulla per nasconderlo. Come l’episodio delle 500 lire...". Spieghi... "Il pulmino del Milan stazionava in viale Certosa per portare i giocatori al campo d’allenamento. Per ordine di Nils, chi non arrivava in tempo doveva andare all’allenamento con mezzi propri. Ebbene, una volta fu lui ad arrivare in ritardo e a dover prendere la sua macchina: solo che non ci era abituato e quando arrivò al casello, al momento di pagare, tirò fuori una banconota da 500 lire così vecchia che non si leggeva più niente e si spezzò. Al casellante disse che non aveva altro. E riuscì a passare senza pagare". Nel 1977 rapirono suo fratello Carlo, in mano all’Anonima Sequestri per 33 giorni. "Mi sentivo in colpa, ero io quello famoso... ". Pagò il riscatto? "Con due pistole puntate alla testa". Nel 1980 scoppiò lo scandalo Totonero, il suo Milan fu retrocesso in B, lei fu radiato. "Nessuno ci credeva, io per primo, che non ho mai giocato neppure al Totocalcio. Al processo gli stessi scommettitori ammisero che non mi avevano mai visto. Però ero il presidente e venni condannato. Anche se poi l’Italia vinse i Mondiali e ci fu l’amnistia". Ma lei non tornò. "Non ho più voluto far niente nel calcio. Era un mondo che non mi apparteneva più. Il calcio ormai lo fanno i procuratori e pure il mercato, con quotazioni spropositate, è spettacolo. Fasullo". A lei cosa piace? "Lo spettacolo in campo. Mi sono sempre piaciuti i giocatori tecnici, quelli che sapevano dribblare e divertire. Al Milan impazzivo per Antonelli e Novellino, avevano un segreto: si divertivano a giocare a pallone. Due pirletta, quando dribbavano quello spilungone di Facchetti facevano apposta a tornare indietro per scartarlo di nuovo". E oggi? "Vado a vedere il Monza". Lo ha preso suo figlio Nicola. "E sta facendo grandi cose. Ha ricostruito il settore giovanile, perché i giocatori bisogna costruirseli in casa. E ora bisogna tornare su, altrimenti non si sopravvive: tempo due anni e Monza deve avere una squadra in serie B". E la A? "Un passo alla volta. O si retrocede subito...".