Vimercate, morta dopo trasfusione di sangue: "Angela, la forza di una famiglia"

Vimercate, pensionata perde la vita in ospedale. Inchiesta per reato colposo

Angela Crippa

ngela Crippa morta venerdì a 84 anni dopo avere subito la trasfusione sbagliata in ospedale a Vimercate

L'autopsia rivelerà tutto sulla morte di Angela Crippa, la pensionata di Arcore vittima di una trasfusione sbagliata all’ospedale di Vimercate. L’esame è fissato per venerdì alle 8. La Procura di Monza ha aperto un fascicolo per omicidio colposo, dopo avere acquisito la cartella clinica, grazie alla quale sta identificando il personale che ha avuto a che fare con l’ottantaquattrenne durante il ricovero per la frattura al femore. I nomi del medico e dell’assistente che hanno autorizzato la flebo fatale, destinata a un’altra degente di gruppo sanguigno incompatibile, sono già sul tavolo del pm Cinzia Citterio. Già al lavoro in Ortopedia, dove c’è stato lo scambio di sacche, gli ispettori inviati dal ministro della Salute Roberto Speranza. Con loro, gli esperti della Regione incaricati dall’assessore al Welfare Giulio Gallera. Spiegheranno cosa non ha funzionato nella filiera - dal Centro trasfusionale al letto - che l’Azienda credeva perfetta. «Non è il fallimento di un singolo, ma dell’intera organizzazione», ammette il direttore sanitario Giovanni Monza. «Non deve succedere più a nessuno – aggiunge Maria Olimpia Cassano, l’avvocato che assiste i figli di Angela, Marco e Franco Tremolada –. La famiglia si batte per questo». Sono senza parole invece nel reparto. È stato il primario Roberto Zorzi a convocare i parenti per informarli dell’errore. «Non ci hanno nascosto niente, ma nessuno ci ridarà nostra madre», dicono i fratelli sotto choc. In corso anche un’indagine interna, ma per i provvedimenti è presto. 

Vimercate (Monza e Brianza), 18 settembre 2019 - Emilia Tremolada, la nuora della pensionata morta per la trasfusione sbagliata, è distrutta. Non crede ancora a ciò che è successo.

Chi era Angela per lei? «Un amore. La suocera perfetta. Siamo – (la voce si incrina, si corregge) – eravamo l’eccezione che conferma la regola. Il nostro era un rapporto tra madre e figlia. Ne parlo solo perché non voglio che il nostro dramma si ripeta e che altri si ritrovino nelle nostre condizioni: disorientati, senza di lei. Per noi è incredibile».

Le trasfusioni letali sono una su 3 milioni. È successo a voi. «Credo che vadano riviste le procedure. C’è qualcosa che non va se una persona supera un’operazione e poi muore per lo scambio di una sacca di sangue. Si è parlato di omonimia, ma non credo sia sufficiente a spiegare l’accaduto».

L’intervento era riuscito. «L’aveva superato. Ho pregato tanto, mi disse, e alla fine è andato tutto bene. Avevamo tirato in sospiro di sollievo. La frattura al femore non è una passeggiata alla sua età. Ma ce l’aveva fatta. Prova ne sia che quel maledetto giorno aveva scelto il menu da sola. Non aveva voluto la minestra, la detestava».

Il vostro ultimo incontro? «Sì, purtroppo. Era provata, ma era la solita Angela. Quando la dietista ci ha lasciate, ha chiesto un antidolorifico, poi abbiamo parlato dei nostri pranzi domenicali. Non vedeva l’ora di tornare a casa. L’aspettavamo a braccia aperte».

Poi, cosa è successo? «È arrivato mio cognato a darmi il cambio. L’ho baciata e me ne sono andata. L’ho rivista in rianimazione, quando era troppo tardi. È stata male pochi minuti dopo che le avevano infuso il sangue destinato alla paziente con lo stesso cognome. Era troppo tardi. Se ne è andata dopo due giorni di agonia. È terribile».

Uno choc. «Non ci sono parole per descrivere cosa si prova. I miei figli sono rimasti senza nonna così: li aveva cresciuti, li adorava. Sarà difficile per loro farsene una ragione. Mi chiedo ogni momento come faremo senza di lei».

Vi aiutava? «Moltissimo. Mio marito aveva perso il lavoro per colpa della crisi a 50 anni e senza Angela non so cosa avremmo fatto. Non aveva mai smesso di starci vicino. Lo faceva ancora. La famiglia è stata tutta la sua vita. Con il marito, Paolino, è stata 60 anni, è mancato nel 2016. Per lei era stata durissima. Da giovane lavorava in comune, assisteva i ragazzi sullo scuolabus, poi si era interamente dedicata ai figli».

Che direbbe a chi ha sbagliato? «Capisco il loro dramma, mi metto nei loro panni, ma anche loro dovrebbero mettersi nei nostri. Chi finisce in ospedale è fragile, a prescindere dall’età, bisogna prestarvi la massima attenzione. Questo errore ha portato via il perno della nostra famiglia: mia suocera era tutto per noi».

Cosa pensa sia andato storto? «Un controllo, forse, non eseguito. Probabilmente le verifiche sono insufficienti. Non si può morire così».