Meda: a tre anni dalla strage del Bardo, parla la famiglia di Giuseppina Biella

Il figlio: "La nostra vita fra processi e dolore E ancora non possiamo cremare il suo corpo"

Silvio Senzani, figlio della donna uccisa dall’Isis

Silvio Senzani, figlio della donna uccisa dall’Isis

Meda (Monza e Brianza), 16 giugno 2018 - Il corpo di Giuseppina Biella riposa in un loculo del cimitero. Ma la sua volontà, essere cremata, non è ancora stata rispettata. Colpa dell’inchiesta formalmente ancora aperta che tiene bloccato il corpo, nonostante tutto sia accaduto il 18 marzo 2015. Tutto avviene alle 12.30. Tunisi, Museo archeologico del Bardo. Due terroristi tunisini legati allo Stato islamico, armati di kalashnikov e bombe a mano e con indosso cinture esplosive cercano di infilarsi all’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo, dove è in corso un’audizione delle forze armate sulla legge anti-terrorismo. Respinti dalle forze di sicurezza, i terroristi si dirigono al vicino museo del Bardo e aprono il fuoco contro un pullman di turisti appena scesi da una nave da crociera. Poi si asserragliano nel museo prendendo in ostaggio altri turisti. Alle 15.30 le teste di cuoio riescono a liberare gli ostaggi superstiti e a uccidere i due terroristi. Il bilancio finale parla di 23 morti, tra cui un agente di polizia, i due terroristi e 20 turisti, 4 sono italiani. Otto di loro sono stati uccisi dalle raffiche di mitra contro l’autobus: fra loro Giuseppina Biella da Meda, 71 anni, colpita da 4 proiettili. Suo marito si salva perché la nuova protesi all’anca gli impedisce di scendere subito dal bus. Qualche giorno dopo per le ferite riportate morirà anche un altro turista.

«I primi mesi sono stati tutti un frullatore... poi è rimasto un grande vuoto, la gente è più gentile, ma a volte fatica ad approcciarsi a noi. E mio papà? Ha compiuto 80 anni lo scorso agosto e ha qualche problemino di cuore, ma è stato bravo, non si è chiuso: al pomeriggio gioca a carte con gli amici, frequenta il coro degli Alpini e l’Inter Club di Meda... Alla sera, però, è come se tutto quanto accaduto gli piovesse all’improvviso addosso: fatica ad addormentarsi e spesso si sveglia di soprassalto senza riuscire a riprendere sonno». Silvio Senzani ricorda una delle tragedie più grandi, spaventose e inimmaginabili che possano capitare.

Cosa ricorda?

«Lavoro in ospedale come operatore sanitario, tengo sempre il telefono spento, ma quel giorno ero di riposo e avevo il cellulare acceso in tasca. Mio padre telefonò dalla Tunisia ad appena tre quarti d’ora dall’attentato, mi disse: “Siediti Silvio, ci hanno attaccato i terroristi, hanno ucciso la mamma”. Poi ha aggiunto: “E adesso cosa facciamo senza la mamma?”.

Avrebbero festeggiato 50 anni di matrimonio l’anno successivo, dopo la pensione si godevano una crociera all’anno... mia madre era tutta la sua vita».

Difficile anche solo da credere...

«Accesi la Tv e già se ne parlava. Poi chiamai la Farnesina, ma loro insistevano: mia madre risultava dispersa, avevano ancora speranze... ma io sapevo come era andata, mio padre l’aveva vista cadere davanti a sé, l’aveva abbracciata già morta. Il fatto è che aveva preso la sua borsetta coi documenti, era per questo che all’inizio le autorità non erano certe che fosse fra le vittime».

Avete poi avuto un risarcimento?

«La Costa Crociere ci ha fatto un’offerta, io non l’avrei voluta accettare, ma mio padre ha preferito chiudere la questione e ha firmato. Non posso dire per quale cifra».

Perché non avrebbe voluto accettare?

«I miei genitori avevano comprato un pacchetto turistico dalla Costa: la visita al Bardo, proprio di fianco al Parlamento tunisino, dove quel giorno si sarebbe discussa una legge contro il terrorismo, poteva essere evitata».

Bastava poco.

«Una scolaresca italiana in gita con MSC crociere cancellò la visita su consiglio di una professoressa che aveva solo letto i giornali ed era al corrente di quanto in programma... Quel giorno i terroristi infatti attaccarono il Parlamento, ma vennero respinti e spararono su un gruppo di turisti in visita al Bardo: i miei genitori erano con loro. Mio padre si salvò perché, reduce da un intervento all’anca, tardò a scendere dal pullman; quello che gli passò davanti, Francesco Caldara, si afflosciò invece davanti a lui sotto le scariche di mitra».

E lo Stato?

«Non possiamo lamentarci, abbiamo scoperto che esiste un fondo per le vittime del terrorismo e come risarcimento hanno riconosciuto, sia a me sia a mio padre, 608 euro al mese e l’esenzione dal pagamento dei ticket sanitari. A maggio ci hanno anche invitato a Roma con altre vittime del terrorismo in occasione dell’anniversario dell’uccisione di Aldo Moro: e abbiamo rivisto alcuni dei nostri compagni di sventura...».

La burocrazia è spietata.

«Le racconto una cosa: mia madre avrebbe desiderato essere cremata, eppure non è stato ancora possibile».

Perché?

«L’inchiesta sull’attentato non risulta ancora chiusa e quindi il corpo deve rimanere a disposizione. Anche se nel frattempo lo abbiamo potuto almeno seppellire al cimitero, nel loculo a fianco a mia sorella».

Sua sorella?

«Un tumore l’ha portata via nel 1999, pensavamo che la mia famiglia avesse già pagato abbastanza al destino».

E invece sono arrivati i terroristi.

«Sono laico e provo rabbia per tutti gli estremismi, ma senza odio né rancore. La religione non c’entra nulla in questa faccenda».

E i musulmani?

«Nessun problema. I miei genitori avevano una salumeria prima di andare in pensione. E oggi abbiamo affittato quel locale a un pizzaiolo egiziano».