"Stesso vizio di mio figlio, ma loro sono assassini"

Il padre Michele Sebastiano: "Non diventi lui lo spacciatore e i ragazzi le povere vittime. Tra pochi anni saranno fuori, è vergognoso"

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MONZA

di Marco Galvani

"Hanno lo stesso vizio di mio figlio, le stesse debolezze, con la differenza che lui era un signore e questi sono assassini. Cristian non ha mai instradato nessuno alla dipendenza della cocaina". Lo afferma Michele Sebastiano, padre di Cristian, il 42 enne ucciso a coltellate ieri a Monza da due ragazzini di 14 e 15 anni fermati dai carabinieri, uno dei quali avrebbe accusato la vittima di averlo portato sulla strada della dipendenza da stupefacenti.

"Quello che era mio figlio lo sappiamo, ma adesso non diventi lui il tossico, lo spacciatore e loro le povere vittime – prosegue Sebastiano – meriterebbero di essere processati come adulti, perché se solo penso che da minorenni in pochi anni me li ritroverò fuori divento matto, sarebbe vergognoso. Lo spacciatore vende, chi assume droga la cerca, funziona così e uno dei due a sua volta già vendeva droga in Stazione. Conosco bene chi l’ha ucciso, veniva a casa tutti i giorni, gli dicevo di smettere di fare quella vita, lui sorrideva e se ne andava". "Cristian ha sbagliato nella sua vita, ma ha fatto male solo a se stesso", ha detto la mamma.

Due ragazzi comunque soli, gli autori del delitto. Cresciuti senza potersi appoggiare fino in fondo alle proprie famiglie. Famiglie comunque perbene, senza legami con la criminalità, ma vissute in contesti difficili. Almeno così le descrive la gente del rione.

La mamma del quattordicenne che si sarebbe accollato la responsabilità dell’omicidio di Cristian Sebastiano lavora come badante, il papà è un operaio. Originari delle Mauritius, vivono per il lavoro. E troppo presto hanno dovuto fare i conti con i problemi di droga del figlio: "Sì, viene seguito dai medici". Frequentava il Servizio tossicodipendenze. Già a 14 anni. L’amico di 15 che era con lui domenica, invece, era "un po’ vivace".

Genitori separati, era sballottato da una casa all’altra e aveva smesso di studiare. A San Rocco si era trasferito da non molto. Condomini nella zona di via Fiume dove, invece, abitava la vittima. Case Aler.

Sei palazzoni, 16 scale dove vivono 286 famiglie. Italiani, stranieri, di ogni età. E "tenerle unite non è mai facile, ma ci proviamo sempre", assicura Pino Saccà. Lui è uno dei ‘vecchi’ del quartiere. Sono quasi cinquant’anni che ha preso casa lì all’Aler.

Fin dai tempi più bui e difficile di questa zona periferica di Monza. "Negli anni Settanta San Rocco era soprannominato il Bronx, la situazione era veramente complicata – racconta –, ma piano piano, anno dopo anno, con l’aiuto dei capi-scala, degli inquilini, della stessa Aler e del Comune siamo riusciti a ripulire il quartiere. E so di non poter essere smentito quando dico che da un po’ di tempo a questa parte San Rocco è diventata una piccola isola felice".

Poi in un qualunque pomeriggio di una domenica qualunque succede di finire sulle prima pagine dei giornali, delle televisioni e dei siti internet: "Come comunità siamo veramente sconvolti tutti di quanto è successo", il dolore amaro di Saccà. Una vita nel quartiere, l’impegno da una vita per il quartiere e i suoi abitanti, l’incarico di referente del Comitato inquilini delle case Aler, Pino è conosciuto da tutti. E lui sa tutto dei suoi vicini, anche di quelli delle scale più lontane dal suo appartamento.

Compresa la storia di Cristian e della sua famiglia. "Al di là delle disavventure e degli errori che ha commesso, Cristian è sempre stato un ragazzo gentile, non negava mai un saluto e si fermava spesso a chiacchierare – lo ricorda Saccà –. Lo conoscevamo tutti e non ha mai creato problemi. Anche papà Michele e mamma Patrizia sono due bravissime persone".