Monza, gli stalker della porta accanto nelle case comunali

Un’intera famiglia a processo per aver reso la vita dei vicini un inferno tra insulti, rumori molesti e minacce

Guerra tra vicini di casa (foto di repertorio)

Guerra tra vicini di casa (foto di repertorio)

Monza, 18 aprile 2018 - Un'intera famiglia alla sbarra per stalking condominiale nei confronti di altri sei inquilini. Lo scenario delle accuse contestate in un processo che si è aperto ieri davanti al giudice monocratico del Tribunale di Monza Letizia Brambilla sono le case comunali di via Bramante da Urbino a Monza. Imputati al dibattimento un cinquantacinquenne nativo di Monza, la moglie cinquantaquattrenne, i due figli maschi di 26 e 23 anni e persino la fidanzata del primogenito. Presunte vittime un settantasettenne originario del Foggiano, la moglie di dieci anni minore originaria della provincia di Napoli, la figlia quarantasettenne (che si sono costituti parti civili al processo per ottenere un risarcimento dei danni) e altri tre condomini che risultano invece solo parti offese. Secondo l’accusa, i presunti atti di stalking condominiale sarebbero iniziati nel 2012.

Al centro delle accuse «un perdurante e grave stato di ansia e paura» tale da provocare ad una delle coinquiline, una donna settantaduenne, «bruschi rialzi pressori» nonché «un fondato timore per la loro incolumità e per quella dei loro familiari» a carico delle presunte vittime prese di mira, che li costringeva «a cambiare le loro abitudini di vita e di lavoro». Costretti a muoversi con cautela all’interno del condominio, a limitare le uscite, a modificarne gli orari. Per non incappare nella famiglia di persecutori. La quarantasettenne residente sotto il loro appartamento, ad esempio, secondo l’accusa, doveva sopportare rumori continui fino a tarda notte: mobili spostati, camminate in casa con le scarpe con i tacchi, bimbi che giocavano a palla o in bicicletta.

Nel marzo 2014 la donna era stata afferrata e tirata con forza per un braccio dalla madre di famiglia del piano di sopra subendo lesioni con una prognosi di sette giorni. Al padre della quarantasettenne il marito della donna violenta aveva invece tirato addosso un bastone, fortunatamente mancando il bersaglio dell’ultrasettantenne. La famiglia alla sbarra è poi accusata di una serie di biglietti anonimi manoscritti con messaggi «dal contenuto volgare, offensivo e intimidatorio», alcuni anche di tono razzista o di scherno rispetto a difetti fisici, trovati dai malcapitati davanti alle porte delle rispettive abitazioni o nelle cassette della posta. Accuse tutte negate dagli imputati, che sostengono anche di non essere loro gli autori delle missive incriminate. Per accertarlo il giudice ha disposto che tutti i familiari vengano sottoposti a una perizia grafologica che verifichi se appartenga ad uno di loro la mano che ha scritto le velenose parole. Si torna in aula il 4 dicembre.