Gino Alfonso Sada, la rivoluzione Simmenthal

La storia del grande imprenditore e uomo di sport a Monza

Operaie allo stabilimento della Simmenthal

Operaie allo stabilimento della Simmenthal

Monza, 19 novembre 2017 - «Quando ero ancora giovanissimo, leggevamo avidamente i racconti di Salgari, quei racconti avventurosi di pirati, e ci combattevamo da coraggiosi lealissimi corsari nei nostri giochi, come Sandokan e le tigri della Malesia. Quando dubitavamo di qualcosa e c’erano delle controversie eravamo soliti chiedere: “Ma è proprio vero? Dammi la tua parola”. E la parola era sacra. Tutt’ora questo concetto è rimasto in me». Parlava così il Cavaliere del Lavoro Gino Alfonso Sada incontrando gli studenti degli Istituti Tecnici al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano l’11 marzo 1964, appena un mese prima di morire. Un personaggio straordinario per Monza che lo aveva adottato. Milanese di nascita, proprio all’ombra di Teodolinda aveva costruito buona parte delle sue fortune creando la gloriosa Simmenthal, quella della carne in scatola. Per dieci anni era stato inoltre presidente del Calcio Monza, che aveva portato a ottimi risultati – sono gli anni del Simmenthal Monza - e a una permanenza stabile in serie B. Senza dimenticare la felice sponsorizzazione dell’Olimpia Milano di basket. Grande capitano d’industria vecchio stampo, carismatico e geniale, Gino Alfonso Sada nasce a Milano nel 1888.

L'AZIENDA - Suo padre Pietro ha un negozio di gastronomia e le sue specialità sono a volte così richieste anche lontano da Milano che decide di cominciare a inscatolarle e a spedirle ai clienti più affezionati: nel 1881 era stato uno dei primi in Italia a fare qualcosa di simile. I suoi tre figli li mette subito a bottega: Gino Alfonso conserverà sino alla fine nel suo stabilimento a Monza lo sgangherato carretto che quando aveva appena 17 anni doveva tirarsi dietro per andare a fare le consegne. Tutte le mattine, qualsiasi condizione atmosferica ci fosse, dalla fabbrica che papà aveva aperto a Crescenzago fino alle case dei clienti. «Anche il cavallo era un lusso» amava ricordare lui ripensando a quel carretto ormai divenuto cimelio e a quando per tutti era soltanto “El Ginett”.

La fabbrica di carne in scatola conosce la sua prima fortuna allo scoppio della guerra. Gino Alfonso è in Serbia per trattare l’acquisto di capi di bestiame e ricopre già il ruolo di direttore dello stabilimento di famiglia. E con la guerra, si rende conto dell’enorme utilità della carne in scatola per le truppe impegnate al fronte.  Nel 1921 si stacca così dall’azienda paterna e ne apre una tutta sua a Monza. Gino cerca una sistemazione per il suo nuovo stabilimento e la scelta cade su una vecchia segheria a vapore in via Borgazzi. Dentro c’era una robusta e magnifica caldaia “Cornovaglia” a vapore che si rivelerà ideale per le sue necessità: prima a carbone, poi a nafta e infine a gas funzionò fino al 1960. Nasce la “Società anonima Alfonso Sada”, una quindicina di dipendenti. Sulle scatolette di metallo c’è stampigliata la dicitura “manzo alla militare”.

Nel 1928 decide di provare a fare il salto di qualità. Le scatolette, da prodotto per i poveri vendute a bassissimo prezzo, puntano a un nuovo mercato: carne di miglior qualità, prezzo più alto, un sistema di apertura rivoluzionario grazie a uno speciale anello. E, soprattutto, un investimento massiccio in pubblicità per un prodotto che innanzitutto cambia nome: basta “manzo alla militare”, ora si chiamerà Simmenthal, dal nome di una valle svizzera (ma con un “h” in più!) dove pascolano vacche dal colore rossiccio e dalle carni particolarmente gustose. Le scatolette Simmenthal diventano un prodotto alla moda, per classi anche agiate, ma con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il signor Sada deve inventarsi qualcosa di nuovo per restare a galla: conserve, marmellate, condimenti, estratti. Dopo la guerra, la Simmenthal vive momenti a tratti molto duri, le scatolette vengono inizialmente viste come un simbolo di antiche miserie, eppure Sada resiste a tutte le pressioni. E ha ragione. «Io ho fatto solo la terza elementare – ricorda – ma in qualsiasi momento dell’anno posso dirvi quanto si guadagni o si perda». Tenace e orgoglioso, aveva continuato a farsi largo in un mondo di industriali sempre più moderni e al passo coi tempi. Senza mai pentirsene.

LO SPORT - La passione per lo sport era stato il suo grande faro. Dalle partite a bocce, in cui giocava in prima persona, a quelle delle due squadre legate al suo marchio: a Milano con il basket (l’Olimpia Milano targata Simmenthal mette in cascina in quegli anni 10 scudetti, una Coppa dei Campioni, due Coppe delle Coppe, una Coppa Italia); e il calcio con il “suo” Monza, il “Simmonza” come veniva anche chiamato. Una squadra che, parecchio traballante nel momento in cui sindaco e parecchi cittadini lo convinsero a rilevarla, fu capace con lui di sfiorare l’impresa del salto in serie A nel 1956-57 e si attestò in pianta stabile in serie B. Pur di andare a vedere quelli che considerava i suoi ragazzi, faceva di tutto e si teneva sempre aggiornato, anche quando per lavoro gli capitava di trovarsi all’angolo opposto del mondo.

E immancabilmente, alle due del pomeriggio di ogni domenica, si racconta che telefonasse personalmente a quei due o tre giocatori che di volta in volta riteneva decisivi per «tirarli su di morale - come spiegava lui - perché in fondo... sono tutti dei ragazzini». Il 5 aprile 1964 Gino Alfonso Sada muore. Il giorno prima aveva inviato un telegramma per rassicurare operai e impiegati. Ma era ormai troppo tardi.

Ecco allora l’ultimo insegnamento lasciato agli studenti milanesi nel suo ultimo messaggio: «Fabbricare è abbastanza facile – nel mio caso per esempio so quanto costa la scatoletta, quanta carne devo metterci, gli ingredienti necessari eccetera ed è tutto relativamente semplice – ma è difficile, per qualsiasi prodotto, vendere, incassare e, soprattutto, guadagnare». A lui verrà intitolato lo stadio di via Guarenti che ancora oggi porta il suo nome e in cui giocano oggi le ragazze della Fiammamonza: i “maschietti” sono emigrati da trent’anni al Brianteo.

UN RICORDO DAL PASSATO - È stato uno dei giocatori simbolo di quegli anni, nel Simmenthal Monza fu uno degli elementi più spumeggianti ed amati, ala scattante, una saetta. E anche ora che ha 82 anni e si gode la meritata pensione nella sua Ornago, Giordano Mattavelli (150 partite in serie B, 4 in A), non dimentica patron Gino Alfonso Sada. «Mi voleva un bene dell’anima, mi chiamava Mattavelin... Ricordo una volta in cui, dopo una vittoria, venne negli spogliatoi e si levò dalle tasche una manciata di monete d’oro, erano Marenghi, e li divise fra noi giocatori. Non li ho mai spesi, li conservo ancora a casa mia». Era un generoso, con i suoi ragazzi, «ma era anche molto esigente. Dopo una brutta sconfitta a Messina per 6 a 1, sulla strada del ritorno ci fece fermare a Roma e ci fece andare tutti in uno dei suoi stabilimenti: e lì ci fece una paternale durissima davanti a tutte le maestranze della sua azienda, che poi ci fece anche visitare perché prendessimo esempio di come si doveva lavorare».