"Sarebbe bastato il defibrillatore" Chiesti 2 anni per il chirurgo estetico

Dopo l’anestesia per un ritocchino Maria Teresa Avallone era finita in coma senza più riprendersi. Il pm e l’accusa di omicidio colposo: "Ha scelto di operare da solo e ha gestito male la crisi della paziente"

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di Stefania Totaro

"L’utilizzo del defibrillatore presente nello studio medico avrebbe potuto salvare la vita a Maria Teresa. Il suo cuore, rimasto fermo per 32 minuti, è ripartito dopo 17 minuti di manovre rianimatorie. Ma nel frattempo l’encefalo ormai era morto". È la conclusione a cui è giunta la pm della Procura di Monza Sara Mantovani, che ieri ha chiesto la condanna a 2 anni di reclusione con la pena sospesa per Maurizio Cananzi, chirurgo estetico a Seregno.

Il medico è imputato di omicidio colposo in un processo al Tribunale di Monza per il decesso di Maria Teresa Avallone, la 39enne spirata dopo tre giorni di coma per un arresto cardiaco, che l’ha colpita durante la preparazione con anestesia locale a un trattamento di sollevamento dei glutei con fili sottocutanei. La donna, impiegata all’ufficio accettazione dell’ospedale San Raffaele di Milano e residente a Desio, si era recata il 5 marzo del 2019 nello studio medico di Seregno per un trattamento in day hospital. Non era la prima volta che si sottoponeva a piccoli ritocchi, anche con somministrazione di anestesia locale. Ma quel giorno, secondo la ricostruzione della vicenda giudiziaria, pochi minuti dopo l’anestesia, la donna è andata in arresto cardiaco. Immediatamente il chirurgo, che in quel momento si trovava da solo con la paziente, ha iniziato il massaggio cardiaco e ha chiesto l’intervento del 118. Poi l’arrivo dell’ambulanza e il trasporto all’ospedale San Gerardo di Monza, dove la 39enne è stata ricoverata nel reparto di Neurorianimazione. Ma è morta senza mai riprendere conoscenza. La pm, secondo cui si tratta di "un fatto drammatico sia per la paziente che è morta, ma anche per l’imputato, che è un medico e vuole salvare le vite" ha parlato di "un intervento poco invasivo" e di una "dose terapeutica di lidocaina" usata come anestetico, che in rari casi può dare un effetto tossico, con una crisi epilettica che può portare all’arresto cardiaco. "Come il medico aveva ben specificato nel consenso informato fatto firmare alla paziente". Ma poi "ha scelto di operare da solo" e "ha gestito male la crisi epilettica, una crisi forte che ha fatto cadere la paziente dal lettino".

"La crisi doveva essere sedata con un calmante e con una soluzione lipidica che agisce come antidoto, ma per la paziente non era stato previsto l’accesso endovenoso". La 39enne "andava poi ossigenata e non le sono stati presi i parametri". Infine l’arresto cardiaco. "L’imputato ha sostenuto che dai parametri la paziente non era defibrillabile, ma il software di queste apparecchiature va in automatico, prende i parametri e si aziona in caso di bisogno". Invece il chirurgo ha operato il massaggio cardiaco e chiamato il 118. Accuse negate dall’imputato.