Vimercate, razzismo in ospedale: "Vicino al negro non voglio stare"

All'ospedale di Vimercate un brianzolo prima chiede di essere spostato in un'altra stanza poi firma le dimissioni

Un ospedale (Foto di repertorio)

Un ospedale (Foto di repertorio)

Vimercate (Monza Brianza), 13 ottobre 2016 -  «Con quel negro in stanza non ci voglio stare, cambiatemi posto o me ne vado immediatamente». Brianza, ospedale di Vimercate, reparto di ortopedia, lunedì mattina: in una giornata qualunque, la folla si smista fra ambulatori e sale d’attesa dell’edificio tutto vetri e acciaio. Un uomo di 35 anni che vive in uno dei paesi della zona si presenta al bancone del reparto, per un banale intervento di routine, programmato da tempo. La caposala lo accoglie, lo saluta, gli consegna qualche foglio, e gli indica una delle stanzette nuove e pulite, a due letti, dove si trova quello destinato a lui, sul quale accomodarsi in attesa degli esami clinici che precedono l’ingresso in sala operatoria. Il paziente, appena entrato in camera, si guarda intorno. Nel posto accanto al suo, ignaro, un altro degente attende a sua volta il turno per finire sotto ai ferri.

È il colore della pelle del compagno di ricovero a fare inviperire il brianzolo. Si gira di scatto verso l’infermiera e scandisce: «Io con quello non ci sto, datemi un altro posto». L’epiteto con cui si è rivolto all'immigrato - a quanto si apprende - è stato anche più esplicito. Una richiesta perentoria, che lascia sbalordita la donna in camice. «Guardi, non è possibile», risponde lei, con il tono sorpreso di chi vorrebbe scandire con voce ferma: «Ma come si permette?». La domanda di trasloco viene ripetuta altre volte, alla caposala e ai medici, tutti con le facce attonite davanti a una protesta mai ascoltata prima. La direzione del reparto, tuttavia, non può e non vuole accontentarlo. «Se non è possibile, allora rinuncio all’intervento», ha aggiunto il paziente. Irremovibile nel non voler condividere lo spazio con un «uomo di colore». Al personale dell’ospedale, sbalordito, ma convinto che la pretesa fosse assolutamente irricevibile, non è rimasto altro che fargli firmare il foglio delle dimissioni volontarie. Un ghirigoro d’inchiostro in fondo al modulo, e il malato, con la borsa in pugno, ha imboccato il corridoio verso l’ascensore, lasciando di stucco medici e infermieri, fra cui diversi non hanno un passaporto italiano e lavorano nella struttura sanitaria da anni e senza problemi di razzismo.

«Un episodio incomprensibile - chiarisce Pasquale Pellino, che da qualche mese dirige l’azienda del territorio - è la prima volta che accade una cosa del genere nei nostri ospedali. Eppure, l’impegno per fornire cure adeguate e servizi anche agli stranieri è fortissimo, anche perché i ricoveri e le prestazioni per pazienti non italiani sono in crescita. E sul fronte dell’integrazione siamo all'avanguardia: abbiamo anche un traduttore simultaneo in pronto soccorso, 24 ore su 24, in cento lingue diverse». «In tanti anni mai visto nulla di simile - dice Franco Fanti, presidente del Centro orientamento immigrati "Franco Verga" di Vimercate e Milano -. Questo è il frutto del veleno instillato nella società dalla propaganda». Il brianzolo fautore dell’apartheid in ospedale, due giorni dopo, si è ripresentato in reparto per sottoporsi all’intervento che non era evidentemente rimandabile. Gli hanno assegnato un letto, come da procedura. La compagnia - stavolta - non gli ha provocato reazioni di intolleranza. È stato operato e dimesso senza ulteriori conseguenze.