"Quando ho preso a schiaffi Stirling Moss"

L’imprenditore Leonardo Freyrie racconta l’incontro da bambino col “campione senza corona“, svenuto dopo un incidente alla parabolica

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di Marco Galvani

"Che gran bella storia, l’autodromo. E quanti ricordi. Ho sempre in mente quando c’erano gli americani di Indianapolis che erano venuti a correre a Monza. C’erano una Ferrari e una Maserati Eldorado, la prima sponsorizzata dai gelati, che correva con Stirling Moss. Noi eravamo venuti a Monza con la Lambretta, papà era dietro col panama in testa e ci eravamo posizionati alla curva Parabolica. A un certo punto è arrivato Moss, ha picchiato in alto contro il guard rail e poi la sua Maserati è scesa giù. Siamo stati i primi a soccorrerlo, era dentro la macchina, legato e sotto choc. Non si muoveva, sembrava morto e allora lo abbiamo un po’ schiaffeggiato finché non si è ripreso anche se non riusciva quasi a stare in piedi e a camminare. Lo abbiamo tenuto sotto braccio, poi è arrivato un carabiniere che ci ha dato una mano e lo abbiamo portato alla macchina che l’ha riaccompagnato alla partenza". Leonardo Freyrie, distinto gentleman milanese, racconta come fosse ieri il suo incontro ravvicinato con il pilota britannico. E tutte "le altre volte in cui ci siamo rivisti in occasione delle Mille Miglia, anche quando andava con la Mercedes che ha battuto il record a 157 di media su 1.600 chilometri". Sorride con affetto e pure con una vena di nostalgia: "Avevo 9 anni e con mio papà qui a Monza sono stato a vedere la vittoria di Nino Farina con l’Alfa Romeo e quindi la conquista del suo unico Mondiale in Formula Uno". Milanese di nascita, i suoi trisnonni erano originari della Val Germanasca, in Savoia, ma "mio nonno parlava milanese e pure mio papà Emilio", fondatore della Freyrie (storica azienda di sci nella nautica e per la neve) che poi lui ha portato avanti.

"Papà non aveva la passione per il calcio, ma per i cavalli – e mi portava ai concorsi ippici – e per le auto – e mi portava qui in autodromo". Ricorda i fratelli Tino e Vittorio Brambilla che "erano meccanici e preparatori molto bravi e con un gran fegato", "la parabolica di porfido e i piloti che continuavano a muovere il volante per tenere la presa delle ruote davanti" e anche quando "il giorno dopo in cui ho conosciuto mia moglie Luisa l’ho portata qui a Monza con la Giulietta e abbiamo fatto i 140 all’ora. Allora era un’esagerazione". Il suo primo Gp? "Ero un bambino, siamo venuti con la famiglia in autodromo con una Bianchi S9, ci parcheggiammo appena dopo la linea di partenza e salimmo sul tetto dell’auto per vedere meglio la gara. Ricordo ancora che mia mamma preparò una torta di riso". Ma nel suo album non c’è soltanto la F1: "Andavo a vedere le gare sul circuito Junior quando vinceva sempre Geki Russo". La passione per i motori non l’ha mai trascurata. E oggi nel suo garage custodisce gelosamente la Ferrari 275 GTB del 1965 appartenuta al pilota Lorenzo Bandini, ieri in mostra in piazza Trento.